Ciò che sta accadendo in questi giorni alla piattaforma di Twitter è oggettivamente molto divertente da guardare. È difficile non ridere del caos che sta venendo generato da Twitter Blue e dalle migliaia di account fasulli (ma verificati) che stanno invadendo il social. L’inferno scatenato sulla piattaforma dalle decisioni del nuovo proprietario sta facendo pensare non solo alle presunte capacità di Elon Musk ma in generale al ruolo delle piattaforme social e di chi le gestisce. Il percorso di Twitter è in un certo senso paradigmatico dello stato della rete internet al giorno d’oggi e sembra raccontare di una rivoluzione fallita, o in via di fallimento, e di come ancora una volta un mezzo rivoluzionario sia potuto finire nelle mani di chi questa rivoluzione non la vuole fare. Ma andiamo con ordine.
The magnificent bribe
Esiste un filo diretto molto sottile che collega due autori come Tim Wu e Lewis Mumford. Il primo ha scritto un libro chiamato The Master Switch dove analizza i processi di accentramento delle nuove tecnologie comunicative dello scorso secolo. Prima il telefono, poi la radio e infine la televisione hanno tutti subito lo stesso percorso di sviluppo diffuso anarcoide dal basso per poi collimare in un controllo di poche grandi compagnie monopoliste in grado di sfruttare il mezzo in un’ottica di guadagno personale a scapito degli utenti. Anche Lewis Mumford scrive delle nuove tecnologie e lo fa distinguendo tra tecnologie tendenzialmente democratiche e altre autoritarie. Per Mumford le tecnologie autoritarie sono quelle che portano a un maggior controllo e potere verso chi le usa da parte di una autorità mentre quelle democratiche sono decentrate e diffuse. Anche secondo Mumford le grandi tecnologie innovative del XX secolo si sono rivelate autoritarie dando un potere immenso a chi le controlla al vertice. Il modo in cui ciò avviene è attraverso un’opera di corruzione molto piccola (una mazzetta, bribe in inglese) ma anche magistrale: le tecnologie offrono una condizione di vita migliore, un lusso non necessario che però alla lunga diventa irrinunciabile e dà potere a chi quella tecnologia la controlla. Basti pensare alla situazione dei grandi gruppi editoriali italiani proprietari della maggior parte dei giornali, delle compagnie telefoniche come l’AT&T negli Stati Uniti o alle reti televisive come Mediaset in Italia. Più controllo hai su un mezzo più potere puoi esercitare verso chi quel mezzo lo usa.
E Internet ?
In un’ottica mumfordiana internet si presenta come una tecnologia fortemente democratica: grandi piazze virtuali anonime e diffuse dove ogni utente con pochi mezzi può partecipare attivamente a movimenti spontanei, comunicare e fare ciò che più lo diverte. Non a caso è proprio sulle piazze virtuali che movimenti politici rivoluzionari come quelli delle primavere arabe hanno visto la luce e sempre non a caso è sul web che stanno sbocciando le nuove frontiere dell’attivismo.
Ma seguendo il ciclo di Tim Wu possiamo individuare anche qui un percorso di progressivo accentramento e controllo. Basta guardare cosa era internet quindici anni fa e cosa invece è adesso, dai forum a Cambridge Analytica il passaggio è netto e francamente doloroso. Or’a come ora gli spazi di comunicazione sul web si sono fortemente ridotti e sono sempre più controllati. La forza delle grandi piattaforme del web, le quali hanno ottenuto nel corso degli anni sempre più influenza e potere economico, sta tutta nel valore delle loro reti che sono diventate troppo grosse per essere abbandonate. In un processo di economia di rete a livelli giganteschi oramai la maggior parte delle comunicazioni web passa attraverso i server di poche multinazionali che catalogano, schedano e analizzano ogni comportamento degli utenti andando a allargare l’immensa libreria delle profilazioni destinate ad essere vendute al miglior offerente.
Quello che era un tempo il più grande valore e punto di forza del web, l’anonimato, non esiste più e anzi sembra quasi un relitto del passato. Ora come ora la grande forza di queste multinazionali è infatti costruita unicamente sul possesso e controllo di miliardi di dati che descrivono per filo e per segno ogni caratteristica delle nostre vite. È paradossale come la grande rivoluzione dell’anonimato si sia ribaltata in così poco tempo nel suo opposto. Il controllo che questi siti esercitano su chi li usa è totale e lasciato completamente alla discrezionalità delle aziende private che alla fine non stanno facendo altro che affittare spazi sui quali mantengono il potere più totale e dai quali ottengono rendite incalcolabili. Il caso di Elon Musk che acquista Twitter a peso d’oro e decide di farlo diventare il proprio giocattolo personale è quindi l’ultimo tassello di un processo lungo e che per ora sta puntando in una sola direzione. Il fatto che una gigantesca piazza virtuale, una delle più grandi attualmente esistenti, sia nelle mani di poche persone che hanno la possibilità di fare il bello e il cattivo tempo è francamente spaventoso e racconta chiaramente la direzione autocratica verso cui sta andando anche il web.
È innegabile che oggi come oggi ognuno di noi dipenda fortemente da internet nella vita di tutti i giorni, l’idea di Mumford del lusso che diventa necessità e ci lega a doppio filo al potere altrui è qui e ora e non c’è di certo da esserne felici. Nel classico dibattito tra tecno-ottimisti e apocalittici sono i secondi quindi a fare la parte del leone in situazioni come questa, pronti a sbandierare i mali derivanti dalla tecnologia e dal suo utilizzo sbagliato. È però necessario ricordarci che non ha senso buttare via il bambino insieme all’acqua sporca: il mezzo internet è uno strumento meraviglioso, potentissimo e rivoluzionario che secondo un percorso già tracciato molte volte è finito nelle mani di chi lo vuole usare per esercitare controllo. Si è ancora in tempo per arginare questo processo? È difficile dirlo, l’unica cosa chiara è che le pianure del web sono potenzialmente infinite e aperte a sperimentazioni sempre nuove e diverse. Basta solo trovare la strada giusta per arrivarci e soprattutto cominciare a pensare oltre al recinto che ci siamo costruiti da soli.
Contributo di: Michele Ferrari