BUSSANO ALLA PORTA: UNA SCELTA IMPOSSIBILE, UNA QUESTIONE DI FEDE

Mentre sono in vacanza in una baita isolata in mezzo ai boschi, una bambina e i suoi genitori vengono presi in ostaggio da quattro sconosciuti (due uomini e due donne), che chiedono ai tre membri della famiglia di scegliere di sacrificare uno di loro per evitare la fine del mondo…”

I quattro “profeti” dell’Apocalisse

Un’ abitazione isolata in mezzo alla natura e una famiglia felice (qualcuno banalmente direbbe “non tradizionale”, essendo formata da due padri e una figlia piccola di origine asiatica) che lì è venuta per passarci un tranquillo fine settimana…tutto apparentemente nella norma, se non fosse che quattro misteriosi (e inquietanti) sconosciuti si avvicinano sempre di più alla casa: inizialmente provano a fare amicizia con la bambina, di nome Wen, che sta raccogliendo grilli per passare il tempo, ma poi uno di loro, Leonard (interpretato da Dave Bautista), inizia ad essere un po’ troppo insistente nel volere a tutti i costi entrare nell’abitazione e la piccola si spaventa, scappa da quel grosso e spaventoso figuro, andando dentro dai genitori (Eric ed Andrew) a raccontare loro tutto.

Troppo tardi però, perchè quei quattro (due uomini e due donne) armati di forconi, picconi e asce, entrano nell’abitazione con la forza, distruggono porte e finestre, mettono ko uno dei due genitori e costringono anche l’altro ad arrendersi. La motivazione dietro a questa follia? Sta arrivando la fine del mondo (!) e per evitare ciò è necessario che uno dei tre componenti di quel nucleo familiare decida di “sacrificarsi”, per scongiurare l’estinzione di tutta l’umanità… Una decisione impossibile da prendere per chiunque, frutto della follia complottista (oppure forse omofoba, come sospetta Andrew all’inizio) di quel gruppo di invasori, che però potrebbe davvero avere un fondo di verità…

Il nuovo film di M.Night Shyamalan (regista indiano naturalizzato statunitense) è un cosiddetto home invasion, vale a dire quel sottogenere cinematografico (generalmente ascrivibile al thriller o al horror, come in questo caso) in cui una minaccia proveniente dall’esterno entra prepotentemente nella residenza (e quindi nella vita privata) di un nucleo familiare, destabilizzandone la routine quotidiana, finendo molto spesso per distruggerla in modo permanente. Il titolo della pellicola, comunque, era già abbastanza esplicativo di suo, nell’intenzione di inserirsi in tale filone: “Knock at the Cabin” (in italiano, “Bussano alla porta“), tratto da un romanzo del 2018, “La casa alla fine del mondo” (“The Cabin at the End of the World“) di Paul Tremblay.

Per dimostrare le loro tesi, ogni volta uno degli invasori decide di sacrificare la sua stessa vita, per “accelerare il processo apocalittico”, mentre un altro, subito dopo la morte del suo “collega”, accende la televisione, sintonizzandosi sul telegiornale, che mostra immagini devastanti e scioccanti, come quelle di uno tsunami che travolge la costa occidentale degli Stati Uniti, oppure quelle di un virus letale che si sta diffondendo nel mondo sempre più velocemente, sino ad arrivare a degli aerei che senza alcuna spiegazione razionale cadono dal cielo, generando un panico sempre più incontrollato nella popolazione. Mentre Eric inizia piano piano a credere ciecamente a ciò che sta vedendo, Andrew continua ad essere scettico, rifiutando a priori che ciò che nel 2012 non si era verificato, si stia “realizzando” davanti ai suoi occhi, spiegando che potrebbe trattarsi semplicemente di una “assurda e spaventosa coincidenza”.

La fiducia nei confronti delle persone a cui si vuole bene è la chiave dell’opera, secondo lo stesso regista che specifica: “Non sono sicuro che ci sia differenza tra la paura dell’Apocalisse e le scelte degli essere umani per essere arrivati al mondo in cui viviamo (…) credere nel proprio partner di vita e fidarsi di lui è tutto. Nel libro i personaggi non compiono una scelta, ma sarebbe stato disonesto per me come regista non fargliela prendere, data la domanda posta all’inizio della storia.”

Bussano alla porta” è un compendio, non del tutto riuscito ma comunque affascinante, di tutta la poetica, etica ed estetica, del cinema “shyamalaniano“, delle sue ossessioni, delle sue paure e delle sue speranze: l’home invasion e l’unità della famiglia messa alla prova da una minaccia irrazionale (qui fanatici catastrofisti, lì gli alieni) presente in “Signs” (2002), così come l’apocalisse venuta dal nulla di “E venne il giorno” (“The Happening“, 2008), dove, non a caso, il ruolo della famiglia (la sua stabilità e le sue crisi) assumeva anche in quest’ultima pellicola grande importanza, ma anche il fascino per il paranormale, su cosa sia reale e cosa no e il complottismo, presente in molta della sua filmografia, da “The Village” (2004) a “Old” (2021), e anche in “Unbreakable” (2000) e i suoi sequel “Split” (2017) e “Glass” (2019).

Il film paga un certo didascalismo nelle interazioni tra i personaggi, che appesantiscono troppo la narrazione, oltre ad abuso di simbologia biblico-apocalittica abbastanza scontata (i grilli che fanno riflesso alle cavallette delle piaghe d’Egitto, i “quattro cavalieri dell’Apocalisse”, che vengono letteralmente nominati), ma se le critiche si possono certamente muovere sul contenuto, sulla forma non c’è assolutamente nulla da eccepire, in quanto Shyamalan si dimostra per l’ennesima volta un maestro (termine mai esagerato nei suoi confronti) nella costruzione della tensione e dei colpi di scena, come davvero pochi registi al giorno d’oggi (almeno nell’ambiente hollywoodiano).

Come precedente affermato, anche dal punto di vista estetico questo film è perfettamente coerente (stavolta solo nel bene) con la poetica del cineasta indiano-americano, tra luoghi apparentemente sicuri come la propria casa, che si tramutano improvvisamente in spazi claustrofobici, delle prigioni che soffocano personaggi e spettatori, (presenti nei già menzionati “Signs” e “Old“, ma anche in “The Visit” del 2015), la scelta del fuori campo per la rappresentazione della violenza (anche qui già utilizzata in “The Village” e ancora in “Signs“) e del mezzo televisivo per la visione degli eventi catastrofici che si susseguono (come in “E venne il giorno“): c’è la minaccia ambientale (lo tsunami), la minaccia pandemica (il virus) e quella traumatica legata al terrorismo post-11 settembre (gli aerei che cadono dal cielo), praticamente tutte le paure del mondo contemporaneo che l’uomo sta vivendo nell’ultimo periodo (il riscaldamento globale, il Covid-19 ancora in corso ecc…) messe in scena da Shyamalan in maniera per nulla accomodante e banale, ma sempre al servizio della suspense.

Un’opera che, pur con qualche difetto, riesce comunque nella non scontata duplice missione di intrattenere lo spettatore da una parte, e dall’altra di farlo riflettere sui traumi della contemporaneità che ancora (per quanto tempo?) attanagliano il genere umano. Avercene ogni settimana.

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