“Sempre più assetato di vendetta, John Wick tenta in ogni modo di liberarsi della Gran Tavola ed ottenere la tanto agognata libertà. Ma per farlo dovrà sconfiggere un potente nemico che ha alleanze in tutto il mondo, capace di tramutare i vecchi amici in nuovi nemici“
Con due anni di ritardo, essendo la sua uscita inizialmente prevista per il 2021 ritardata di continuo per via della pandemia di Covid, esce finalmente (e rigorosamente nelle sale) John Wick 4, ultimo (almeno per ora) capitolo della saga action/noir targata Keanu Reeves/Chad Stahelski, rispettivamente attore protagonista e regista di tutti e quattro i film: ironia della sorte, Stahelski prima di cominciare la sua avventura dietro la macchina da presa, lavorava come stuntman, e tra gli altri fece da controfigura proprio allo stesso Reeves nella trilogia di Matrix…
Questo quarto capitolo alza nettamente l’asticella dell’ambizione rispetto ai predecessori: la durata è da kolossal di ampio ed epico respiro (quasi tre ore), in cui la storia, partita quasi dieci anni fa come il più stereotipato dei revenge movie, è ormai divenuta semplice cornice per una messa in scena (regia, fotografia, montaggio, scenografia) sempre più stilizzata e ipnotica, vero centro di gravità dell’intera pellicola, fulcro della sua essenza (e principale, se non unico, interesse critico), che ammicca anche al videogioco (altra forma d’arte, piaccia o meno) e al fumetto.
La storia e il suo sviluppo, come detto, sono ridotti al minimo, all’essenziale: John Wick è ormai finito nel mirino della “Gran Tavola” che tenta in ogni modo di farlo fuori (dopo essere stato scomunicato dall’associazione di assassini alla fine del secondo capitolo, per aver fatto fuori il boss mafioso Santino D’Antonio, membro appunto della stessa): stavolta sarà un giovane marchese (ben interpretato da Bill Skarsgård) a rendergli la vita infernale, inviando i suoi sicari ad inseguirlo ovunque si nasconda e soprattutto convincendo un suo vecchio amico, il killer cieco Caine (Donnie Yen) a stare dalla sua parte, tradendo John per avere in cambio la vita di sua figlia salva. Sarà un duello finale a colpi di pistola (secondo le vecchie regole dell’associazione) a risolvere la contesa, o quantomeno provarci…
La trama e il suo sviluppo sono semplici e prevedibili? Sicuramente, almeno per chiunque abbia dimestichezza con i film di vendetta, gli action–thriller, i noir post-moderni ecc… Come detto in precedenza però la forza di questo quarto capitolo (ma più in generale di tutti i film della saga a partire dal secondo) sta nella rappresentazione dei combattimenti, nelle coreografie delle scene d’azione, che riempiono ben 2/3 dell’intero film. Lo spettacolo in questo senso è di quelli memorabili : armi da fuoco, sparatorie, spadate e arti marziali di qualsiasi tipologia si susseguono senza sosta, in una danza ipermoderna che sembra non finire mai.
La regia di Stahelski riesce a risaltare perfettamente ogni singolo combattimento corpo a corpo, scontro a fuoco e inseguimento in macchina con inquadrature che prediligono il piano sequenza invece del montaggio ipercinetico tipico degli action contemporanei statunitensi, più confusionario e meno fluido nel seguire i personaggi al centro dell’azione. Anche la fotografia fa la sua grossa parte, con continui cambi di luce e colore a seconda dell’ambiente in cui navigano gli attori, dal grigiore di New York (cupa come poche volte si era vista in un blockbuster americano) al neon abbagliante delle discoteche di Berlino, sino alla raggiante alba parigina: a dominare sono comunque i toni freddi, come dovrebbe essere in quello che è comunque un film noir.
E sono infatti tutti presenti gli archetipi del cinema noir del passato, lontano e ravvicinato, dal polar francese degli anni Sessanta e Settanta (“Le Samourai” di Jean Pierre Melville, 1967) sino all’heroic bloodshed del cinema d’azione di Hong Kong (“The Killer” di John Woo, 1989): John Wick è in fondo un anti-eroe sì spietato ma con un suo codice d’onore (ci sono comunque degli amici in questo mondo…) condannato a vita a violare il quinto comandamento biblico, vicino a volere la morte per trovare finalmente un senso di pace (e ricongiungersi nell’aldilà con la defunta moglie), ma al tempo stesso fuggendo continuamente da essa nel momento in cui bussa alla sua porta sotto forma di sicari inviati dal nemico di turno. Rimarrà marchiato a vita come Baba Yaga, “l’Uomo Nero”, o meglio l’uomo che si manda ad uccidere “l’Uomo Nero”: non si sfugge mai dal proprio destino anche se lo si vorrebbe.
Tutto già visto? Ovviamente, ma a volte chi si accontenta gode. Chi cerca verosimiglianza però lasci perdere: qui ci sono persone che dopo essere state investite, sparate e cadute da un palazzo sono ancora in piedi, ma dopotutto anche questo fa parte del gioco.