Rapito: La fede è una questione politica

Anno 1858: Edgardo Mortara, un bambino ebreo, viene prelevato dallo Stato Pontificio e tolto alla sua famiglia per essere cresciuto come cattolico. Ai genitori viene detto che il bambino era stato segretamente battezzato quando aveva solo pochi mesi: secondo le rigide regole della Chiesa, il sacramento ricevuto dal neonato gli impone un’educazione cattolica. Trasferito da Bologna a Roma, il bambino sarà allevato secondo i precetti cristiani sotto la custodia di Papa Pio IX.”

Il potere religioso qui perfettamente rappresentato

Marco Bellocchio (classe 1939, e più lucido che mai) torna ad occuparsi dei lati più oscuri della storia italiana, dopo aver affrontato per ben due volte il rapimento di Aldo Moro con “Buongiorno Notte” (2003) ed “Esterno Notte” (2022), la complessa vita coniugale di Mussolini in “Vincere” (2009) e la figura del primo pentito di mafia Tommaso Buscetta ne “Il traditore” (2019).

Stavolta con la sua ultima opera, Rapito“, va molto più indietro nel tempo, nel diciannovesimo secolo, più precisamente nel 1858, quando accadde un evento forse poco ricordato oggi, ma che allora ebbe un grandissimo eco mediatico, e non solo nella penisola italiana ancora non unita, ma in tutta l’Europa: il rapimento del piccolo Edgardo Mortara, un bambino ebreo di soli sei anni, sottratto con la forza ai suoi genitori, residenti a Bologna, dai soldati dello Stato Pontificio (allora l’attuale capitale dell’Emilia Romagna si trovava proprio sotto il dominio papale) e consegnato nelle mani di Pio IX, il “Papa Re” (il suo fu infatti il papato più lungo in assoluto, durato ben 31 anni).

Il motivo di tale atto fu che la Chiesa scoprì che il bambino, nato e cresciuto come detto da famiglia ebraica, fu battezzato dalla sua domestica cattolica di nascosto quando aveva solo pochi mesi di vita: essendo malato e temendo che finisse nel cosiddetto “Limbo“, il primo cerchio dell’Inferno dantesco in cui appunto si pensava finissero tutti i morti non battezzati, compì tale sacramento “condannandolo”, secondo le leggi del Diritto canonico, a ricevere obbligatoriamente un’educazione cattolica, non importa se contro la sua volontà o quella dei suoi parenti, poichè le “leggi divine” sono ineluttabili.

I genitori di Edgardo tentano invano di ottenere giustizia, cercando in ogni modo di riottenere il figlio sequestrato in maniera permanente, riuscendo a portare il caso alla ribalta delle istituzioni a livello internazionale, con tutta la politica e l’opinione pubblica liberale e laica schierata contro il regime ecclesiastico.

Malgrado i moti rivoluzionari del Risorgimento che da lì a poco sconvolgeranno l’ordine costituito, e che limiteranno fortemente il potere della Chiesa stessa, la famiglia del bambino non otterrà mai alcuna giustizia da nessuna autorità, sia clericale che laica, e il Papa stesso, fregandosene altamente della sua sempre più scarsa popolarità nella penisola e all’estero, rimarrà fermo nelle sue convinzioni, credendo ciecamente di essere nel giusto fino alla fine, per “grazia divina”.

Tratto liberamente dal libro “Il caso Mortara” di Daniele Scalise (1997), che qualche anno fa aveva destato interesse persino in Steven Spielberg per un possibile adattamento “hollywoodiano” della vicenda, Bellocchio, affronta in “Rapito” tematiche che da sempre hanno caratterizzato la sua prolifica filmografia, come la religione, la famiglia e ovviamente il potere, e come quest’ultimo sia in grado subdolamente di piegare le coscienze di ogni individuo, sopprimendogli qualsiasi libertà di scelta: in questo caso è la Chiesa che con il suo potere dogmatico costringe un bambino a cambiare fede in nome di regole ferree che paiono agli occhi dei contemporanei sempre più assurde e largamente superate, in un’epoca di grandi cambiamenti sociali come quella risorgimentale.

A Pio IX (interpretato in maniera magistralmente inquietante da Paolo Pierobon), quel bambino serve unicamente come prova di forza del suo regime decadente, un ultimo colpo di coda di un potere che da lì a poco crollerà, ma che ancora vuole mostrare i muscoli.

Con questa “conversione forzata” si vuole dimostrare nient’altro che la netta superiorità delle istituzioni cattoliche nei confronti di quelle ebraiche (e di riflesso contro tutti gli altri credi religiosi): sì perchè Mortara, dopo un’ovvia iniziale difficoltà nell’accettare i nuovi dogmi (in una scena lo si vede recitare di nascosto una preghiera ebraica prima di andare a dormire), alla fine col progredire degli anni assorbirà sempre più passivamente il credo cattolico, fino a divenire da adulto addirittura sacerdote devoto al suo stesso “rapitore”, cambiando il suo nome in Pio Maria proprio in onore del “Papa Re”.

Emblematica in tal senso la scena di Edgardo che, ancora bambino, in sogno strappa le croci dal corpo crocifisso di Gesù, ovvero la principale “colpa” di cui quelli del suo credo furono accusati ai tempi: il cambiamento definitivo nella visione delle cose da parte del piccolo sta tutta lì.

Persino quando i suoi genitori proveranno a riprenderselo, dopo l’indipendenza della città di Bologna dalla Chiesa (passata nel frattempo al Regno di Sardegna) e la presa di Porta Pia (a cui tra l’altro aveva partecipato in qualità di Bersagliere il fratello maggiore Riccardo) l’ormai cresciuto Edgardo rifiuterà definitivamente di tornare nella sua famiglia d’origine, provando anzi a tentare di convertire i suoi genitori al nuovo credo, ormai divenuto parte integrante del suo Io, senza più alcuna possibilità di tornare indietro.

Rapito” è uno dei film più violenti di Bellochio, nel senso che qui i gesti che vengono compiuti e le parole che vengono dette hanno una forza espressiva talmente potente che non possono lasciare indifferenti, molto di più di una qualsiasi violenza fisica: il Papa che minaccia di morte il capo della comunità ebraica costringendolo a strisciare per terra e a leccare il pavimento è la più significativa in tal senso, come pure l’urlo disperato di Momolo Mortara, il padre di Edgardo, a cui non rimane altro che sfogare tutta la propria rabbia e contemporaneamente la propria tristezza, non potendo più riavere indietro una parte importante della propria vita, persa per sempre, sottratta da un Potere convinto di agire per conto del “Bene”.

Il regista piacentino comunque non assolve affatto la religione ebraica, anzi nel film le due fedi (quella israelita e quella cattolico-romana) vengono chiaramente messe a confronto come due facce della stessa medaglia, due sistemi ugualmente dogmatici, e dunque oppressivi per l’essere umano secondo Bellocchio: non a caso si ricorre spesso nell’opera al montaggio alternato per rappresentare efficacemente il rituale ebraico e quello cristiano, e il risultato finale, come detto, è quello di un’assoluta complementarità. Il Potere muta continuamente la propria forma, ma la sostanza rimarrà sempre immutabile.

Rapito” è un grande film perchè va oltre la semplice (e comunque ottimamente riuscita) ricostruzione storica dei fatti, non fermandosi al semplice film di genere, anche se riesce ugualmente ad essere un thriller-storico avvincente dall’inizio alla fine (e questo è un altro suo immenso pregio), ma espande ulteriormente il percorso teorico-autoriale di Bellocchio, portando avanti la sua analisi cruda e senza compromessi sul Potere, prima politico qui religioso, che hanno segnato indelebilmente la nostra Storia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati