“Storia di J. Robert Oppenheimer, celebre fisico statunitense che viene considerato il ‘padre’ della bomba atomica. Scelto come direttore scientifico del progetto Manhattan, Oppenheimer finì sotto inchiesta per il suo operato a metà degli anni Cinquanta e soltanto negli ultimi anni della sua vita venne effettivamente riabilitato per il suo impressionante contributo scientifico.”
Il primo biopic della carriera di Christopher Nolan, forse il cineasta “d’autore” più famoso al mondo, è un lungo (180 minuti), ambizioso (narrativamente) e affascinante (visivamente) affresco del fisico statunitense J. Robert Oppenheimer, considerato il “padre della bomba atomica”, la figura a capo del “Progetto Manhattan“, nonchè il più importante, ma anche controverso, scienziato della sua epoca. Tratto parzialmente dalla sua biografia, “Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato“, scritta dal giornalista Kai Bird e dallo storico Martin J. Sherwin, e qui interpretato da un Cilian Murphy (divenuto ormai attore feticcio del regista britannico) in forma strepitosa, il dodicesimo lungometraggio di Nolan scandaglia tutti i momenti più importanti della vita di Oppenheimer, dagli anni giovanili passati a Cambridge per studiare fisica sino all’attivismo sindacale durante l’insegnamento a Berkely in California, il suo incontro con illustri colleghi come Albert Einstein ed Enrico Fermi, fino all’audizione/processo per presunto spionaggio in favore dell’Unione Sovietica negli anni Cinquanta, ma anche la sua turbolenta vita sentimentale.
Non è ovviamente un biopic stereotipato quello che mette in scena il regista londinese, quello in cui si presenta la classica ascesa e caduta del protagonista/eroe in maniera tradizionale e senza che esso presenti alcuna linea d’ombra, se non minime: in “Oppenheimer” invece l’omonimo personaggio al centro della vicenda viene ritratto in tutte le ambiguità che caratterizzeranno la sua esistenza, in primis sull’ovvia questione morale della creazione di un arma di distruzione di massa, che lo tormenterà fino alla fine dei suoi giorni, ma non solo. C’è il già menzionato lato sentimentale della vita dello scienziato, fedele da un lato alla moglie Katherine (Emily Blunt), ma che non abbandonerà mai la sua ossessione per la prima fidanzata e amante Jean Tatlock (Florence Pough), membro del Partito Comunista americano, che morirà poi suicida, facendo sprofondare Robert in un profondo stato d’angoscia, auto-accusandosi di non aver fatto nulla per salvarla. Anche l’attivismo politico ricopre una parte importante della vita dello scienziato dove, pur non aderendo mai allo stesso Partito Comunista, le scelte radicali intraprese nel corso della sua attività di insegnante (come il sostegno finanziario al “Fronte Popolare” nella Guerra civile spagnola) gli costeranno le “attenzioni speciali” dell’FBI, culminate poi negli anni Cinquanta del “Maccartismo” con l’accusa di essere un agente al servizio dei sovietici.
Nolan non dà giudizi morali sulla figura dello scienziato, ma si limita a mostrare sullo schermo la complessa personalità di Oppenheimer, lasciando che sia lo spettatore a dare un suo personale parere sulle controversie morali che ne hanno attanagliato la vita: lo scienziato non viene qui rappresentato come un eroe ma neppure come una vittima del sistema, semplicemente come un essere umano che ha compiuto, consapevolmente, delle scelte destinate a cambiare il corso dell’intera esistenza umana, e sulle pesantissime responsabilità che queste scelte comportano: una “spada di Damocle” che non si potrà mai togliere.
Sin dall’inizio della pellicola, quando Robert sta compiendo i suoi studi in fisica a Cambridge, si capisce subito la complessa personalità del futuro scienziato, che come dicono i suoi docenti “è bravo nella teoria, ma negato agli esperimento in laboratorio”, soffrendo continuamente di insonnia e depressione, sino addirittura a tentare di avvelenare un suo insegnate con una mela: il tentato omicidio, per sua fortuna, resta incompiuto, e “Oppi” se ne va in Germania, dove conosce la meccanica quantistica, rimanendone affascinato, grazie all’incontro con due celebri fisici tedeschi, Niels Bohr (Kenneth Branagh) e Werner Heisenberg (Matthias Schweighofer).
Una volta tornatosene negli Stati Uniti, Robert apre il primo dipartimento di meccanica quantistica nel Paese, nell’università di Berkeley, in California. I suoi corsi diventano immediatamente popolari tra gli studenti, e apriranno la strada a diverse sperimentazioni nel campo della fisica, tanto da attirare l’attenzione, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, dell’apparato militare del Paese, nella persona del generale Leslie Groves (Matt Damon), che lo coinvolgerà in una corsa contro il tempo per la costruzione di un’ arma atomica prima che lo facciano i nazisti, dando così inizio al celeberrimo “Progetto Manhattan“, di cui Oppeheimer viene appunto messo a capo. Il sogno dello scienziato di fondere “la fisica e il New Mexico” viene dunque realizzato, con il Progetto per la bomba nucleare che viene realizzato proprio nello stato americano da lui sempre amato, caratterizzato da un deserto, quello di “Los Alamos”, che sembra quasi infinito, perfetto per cavalcare a cavallo come nel vecchio West.
Il progetto, caratterizzato dalla partecipazione di molti scienziati ebrei, tra cui Robert stesso, che vedono per ovvi motivi anche una questione personale quella di battere il regime di Hitler sul tempo, dà i suoi frutti: la bomba funziona, ma nel frattempo la guerra è già finita e il nemico nazista è stato già sconfitto. Cosa fare con l’invenzione adesso? C’è il Giappone (alleato dei tedeschi) che non vuole saperne di arrendersi e il pretesto è presto servito: i fatti di Hiroshima e Nagasaki sono, tristemente, noti. Robert viene ricevuto dal presidente Harry Truman (Gary Oldman) che si congratula con lui, ma quest’ultimo si lamenta di avere la mano “sporca del sangue di innocenti”, suscitando l’ilarità dello stesso Presidente che lo apostroferà come “piagnucolone”.
Si ritorna dunque alla questione della moralità e dell’etica: l’obiettivo è stato raggiunto, ma a quale prezzo? E’ giusto che il progresso scientifico possa contribuire ad invenzioni come quelle di armi in grado di spazzare via intere città e uccidere migliaia di persone? Come sopramenzionato, Nolan non dà nessuna risposta morale al film, forse perchè neppure il suo stesso protagonista le possiede. Oppenheimer è diventato il “Prometeo americano“, come recita una didascalia all’inizio del film: nella mitologia greca Prometeo donò il fuoco agli uomini, e gli Dei lo punirono con la tortura. Robert ha “donato” l’atomica al mondo, e la sua tortura non è fisica, ma psicologica, perchè il rimorso per aver contribuito ad una delle più grandi tragedie della storia umana gli rimarrà per tutta la vita, tanto da fargli dichiarare, una volta terminato il test nucleare, la seguente frase: “Sono diventato morte, il distruttore di mondi“. Questo verso è contenuto nel “Bhagavadgītā“, un testo sacro dell’Induismo, e viene citato da Oppenheimer per la prima volta negli anni Trenta, durante un rapporto sessuale con Jean Tatlock, che gli fa leggere le parole esatte in sanscrito.
Qualche tempo dopo, Robert viene trascinato in un audizione legale a porte chiuse (ma in realtà un processo vero e proprio) sul suo presunto tradimento nei confronti del suo Paese in favore dell’URSS, accusato dal capo della Commissione per l’atomica Lewis Strauss (un ottimo Robert Downey Jr.) di spionaggio internazionale. Inizialmente Strauss era un convinto ammiratore di “Oppi”, ma in seguito ne divenne suo principale nemico, dopo che in un convegno quest’ultimo si prese gioco dei suoi progetti per lo sviluppo per l’atomica, ritenendoli senza senso e umiliandolo in pubblico. Il politico decise di attuare dunque la sua vendetta, riuscendo ad impossessarsi dei dossier dello scienziato, concentrandosi soprattutto sul suo passato di attivista sindacale per incastrarlo e, in pieno “Maccartismo“, portarlo in una finta seduta privata per farlo confessare davanti a dei giudici, ma in realtà mettendo in piedi un processo vero e proprio a sua insaputa.
Come rivelato dallo stesso Nolan, “Oppenheimer” contiene tre generi in uno: il biopic storico, l’heist movie, e il courtroom drama, ognuno di essi presente nelle tre parti in cui si divide il film, quella dell’introduzione alla vita e alla carriera dello scienziato, quella della preparazione della bomba e infine quella del processo. Il canovaccio della seconda parte adotta infatti dei topoi del “film di rapina”, come il “mettere insieme una squadra e tentare di realizzare un colpo grosso“, come detto dal regista britannico, con un forte immaginario proveniente anche dal western, per via della presenza dell’ambiente desertico. Nella terza parte invece a prevalere è il dramma giudiziario, con lunghi dialoghi (a volte forse eccessivamente verbosi), dibattiti, colpi di scena e ribaltamenti di fronte tipici del genere, che vengono inoltre rappresentati su due piani, uno a colori, nella parte dell’interrogatorio a Oppenheimer, e l’altro in bianco e nero, nell’audizione al Congresso di Lewis Strauss.
La scelta cromatica dei due piani spaziali non è certamente l’unica scelta stilistica rilevante dell’opera, che anzi adotta i tratti tipici del cinema “nolaniano”, come l’alternanza degli eventi temporali, con il passato e il presente che si sovrappongono nel montaggio, e anche quella, ben più riuscita, tra sogno e realtà, con il personaggio di Oppenheimer che si immagina sin da giovane gli effetti delle esplosioni delle stelle e lo scorrere dell’energia quantica, in una sorta di presagio a ciò che accadrà in futuro di lì a qualche anno. Non soltanto il montaggio, ma anche la fotografia, che passa dai toni freddi del processo in bianco e nero a quelli caldi delle sperimentazioni nel deserto, fa un grandissimo lavoro nella riuscita finale della pellicola, girata in 70 millimetri nel formato IMAX, come le precedenti del regista.
Dal punto di vista tecnico comunque, il pregio migliore del film è sicuramente l’utilizzo del sonoro: la musica di Ludwig Göransson è ossessiva e pulsante, ricoprendo quasi interamente tutte le tre ore dell’opera, in un alternarsi di silenzi oppressivi e rumori assordanti, protagonisti delle due scene migliori del film, quella del conto alla rovescia dell’esplosione per il test finale del “Progetto Manhattan”, e quella in cui Robert “vive” nella sua testa gli effetti delle due bombe a Hiroshima e Nagasaki. Il potentissimo rumore delle esplosioni è sempre preceduto da un lungo e ansiogeno silenzio: mentre gli effetti visivi della bomba si mostrano in tutta la loro potenza, i personaggi gli osservano impietriti, in un’atmosfera quasi onirica, che cessa poi improvvisamente con la comparsa del suono. La costruzione della tensione in queste scene è encomiabile.
In definitiva, “Oppenheimer“, è un’opera sicuramente riuscita, ma solo il tempo stabilirà se è giusto parlare o meno dell’abusato termine di “capolavoro” (per il momento in questa sede non ci si sbilancia). Resta comunque una pellicola di grande maturità, senza compromessi e dotata di un’impronta stilistica ormai puramente riconoscibile e imitata, che conferma Christopher Nolan un grande autore contemporaneo.