“Anno 1957, Italia, Emilia-Romagna, Modena. La Ferrari, l’eccellenza sportiva della regione, è in piena crisi, e con lui il suo fondatore Enzo. Il fallimento incombe sull’azienda che lui e sua moglie Laura hanno costruito da zero dieci anni prima, nei difficili anni della ricostruzione post-bellica. Il loro matrimonio si incrina con la perdita del loro unico figlio Dino, con Ferrari che lotta per riconoscerne un altro, Piero, avuto con Lina Lardi. L’unica e ultima speranza di riscatto per il Cavallino sta nella vittoria della pericolosa corsa che attraversa tutta l’Italia: la Mille Miglia.”
Era da otto anni che stavamo aspettando il ritorno di Michael Mann nel mondo del cinema: l’ultimo suo lavoro “Blackhat” è datato infatti 2015 e fu un grosso fiasco al botteghino, con appena 20 milioni di dollari incassati a fronte di un budget di 70. Non bastò la presenza di una star consolidata come Chris Hemsworth evidentemente ad attrarre il pubblico, con l’opera che ricevette anche, almeno in territorio statunitense, parecchie critiche negative (ingenerose). Si temeva che questo potesse in qualche modo mettere un freno alle ambizioni artistiche del regista di Chicago, ma per fortuna così non è stato, visto che è finalmente tornato nelle sale con un progetto che teneva nel cassetto da più di vent’anni, ovvero un film sulla figura del nostro Enzo Ferrari.
Per l’esattezza era dal 2000 che Mann stava discutendo con il collega cineasta Sydney Pollack (a cui il film è dedicato, e non è un caso ovviamente) della lavorazione di un film sul fondatore del “Cavallino”, ma per 15 anni non se ne fece nulla. Solo nel 2015 infatti sembrò finalmente muoversi qualcosa: a Christian Bale andò il ruolo del “Drake“, e la “Paramount” acquisì i diritti di distribuzione del film, con l’inizio delle riprese previsto per il 2016.
Poi però lo stesso Bale si ritirò dal progetto e si dovette trovare un nuovo interprete principale, individuato in Hugh Jackman: si sarebbe dovuto iniziare a girare il tutto nel 2021 ma poi lo scoppio della pandemia di Covid-19 portò a nuovi rinvii e cambiamenti. Infatti anche l’attore australiano abbandonò il set, e Mann decise di scritturare per il ruolo Adam Driver, e stavolta il terzo tentativo fu quello buono: le riprese iniziarono ufficialmente nell’agosto del 2022 per terminare poi due mesi dopo, con il film distribuito un anno dopo nelle sale.
“Ferrari“, dodicesimo lungometraggio cinematografico dell’80enne regista di Chicago, utilizza come base di partenza il saggio del giornalista e sceneggiatore americano Brock Yates “Enzo Ferrari: The Man, The Cars, The Races, The Machine” (1991), concentrando la vicenda su un singolo anno, il 1957. Per il “Cavallino” di Modena e il suo fondatore quello fu probabilmente il periodo più difficile e tormentato tra tutti, in cui la sua azienda, a 10 anni esatti dalla fondazione, si trovò come mai prima d’ora sull’orlo del baratro e del fallimento.
Per l’Enzo Ferrari interpretato in maniera pressoché sublime da Adam Driver, quel 1957 fu l’anno zero sotto tutti i punti di vista, lavorativo e personale, una crisi a cui sembrava non esserci via di fuga. A livello finanziario le casse sono sempre più vuote e i conti sempre più in rosso, a causa dei costi di produzione sempre più elevati a cui non fanno seguito delle entrate congrue di denaro, per via della scarna produzione di automobili. A livello sportivo le cose vanno ugualmente male, dato che la scuderia modenese vince ormai pochissime gare e il suo prestigio pare sempre più offuscarsi, mentre la storica rivale di sempre “Maserati” sta emergendo con sempre più forza nella scena automobilistica sportiva. Come se non bastasse, Enzo è diventato il bersaglio prediletto della stampa nazionale, che l’ha apostrofato come “creatore di vedove”, a causa dei tanti piloti deceduti sulle sue vetture.
E’ però nella vita privata dove, se possibile, le cose per il “Drake” vanno anche peggio: il matrimonio con la storica moglie Laura (interpretata da una Penèlope Cruz in stato di grazia), co-fondatrice dell’azienda, è in profonda crisi ed è forse arrivato ad un punto morto. Emblematica in tal senso la scena in cui Laura spara ad Enzo con una pistola, mancandolo volutamente, obbligandolo a confessare l’ennesima “scappatella” con l’amante di turno.
Ciò che la moglie non sa però (e soltanto lei ne è all’oscuro visto che, come viene detto nel film, “è una cosa che ormai sa tutta Modena“), è che l’Ingegnere non solo ha una relazione parallela con la signora Lina Lardi (interpretata da Shailene Woodley), conosciuta durante la Seconda Guerra Mondiale, ma che da questa donna ha anche avuto un figlio, Piero che, per ovvi motivi, non può portare il cognome Ferrari, sia a causa delle leggi dell’epoca, che vietavano agli uomini sposati di assegnare il proprio cognome a figli nati da una relazione extra-coniugale, sia per nasconderlo alla moglie (soltanto nel 1975, con il cambio della legge sopramenzionata, Piero poté acquisire l’ambito cognome).
Enzo e Laura un figlio lo avevano, ma purtroppo Dino (chiamato così da Enzo in onore di suo fratello, deceduto in combattimento durante la Prima guerra mondiale) morì a soli 24 anni nel 1956 (l’anno prima dell’inizio della vicenda filmica) a causa di una distrofia muscolare. Quando la moglie viene a sapere del “figlio nascosto” rimprovera pesantemente il marito, addossandogli la colpa principale della dipartita del loro primogenito, accusandolo di non aver fatto abbastanza sforzi per salvarlo dalla malattia (nonostante fosse un male incurabile) e rifiutando seccamente di riconoscere Piero come erede dell’impero familiare (solo dopo la morte della stessa Laura, avvenuta nel 1978, venne riconosciuto dal padre come suo successore alla guida dell’azienda, ed attualmente è il vice-presidente del “Cavallino”).
Le uniche due strade da percorrere per risollevarsi dalle intemperie, pubbliche e private, paiono essere soltanto due per Enzo: cercare dei nuovi soci in affari, che possano aiutarlo a gestire meglio i conti e portare nuova liquidità, e soprattutto cercare ad ogni costo di vincere la celebre Mille Miglia, la gara automobilistica più prestigiosa del Paese, che può riportare in auge il nome Ferrari nel mondo delle corse. Per l’occasione il “Drake” seleziona quattro celebri piloti, ma non tutto finirà per il meglio.
“Ferrari” è continuamente attraversato, per tutta la sua durata, da un clima funereo e malinconico, in cui solo a sprazzi il rumore e l’adrenalina delle corse in macchina riesce a “riscaldare” l’atmosfera della pellicola, magistralmente rappresentate in tutta la loro potenza dalla regia di Michael Mann, che segue pedissequamente ogni loro movimento e ogni loro direzione, con un montaggio (dell’italo-americano Pietro Scalia) sì frenetico e dirompente ma che non sfocia mai nella confusione, come nella quasi totalità dei film di questo genere realizzati ad Hollywood, riuscendo a calibrare perfettamente il ritmo delle gare.
A caratterizzare il film però non sono, come ci si potrebbe aspettare (o meglio, come si potrebbe aspettare chi il cinema di Mann non lo conosce) le scene d’azione sulla pista, ma quelle di vita quotidiana e familiare. Il già menzionato matrimonio in dirittura di rottura tra Enzo e Laura, il rapporto tra il “Drake” con la sua amante Lina e il loro figlio Piero, che gli chiede continuamente l’autografo di Alfonso de Portago, uno dei piloti della scuderia, e soprattutto il confronto “spirituale” tra lo stesso Enzo con il primogenito Dino, a cui ogni giorno fa visita alla sua lapide nel cimitero di Modena, confessandogli a cuore aperto tutti i problemi che lo attanagliano. Il melodramma in tutto il suo rigore e vigore (e nella filmografia manniana c’è sempre stato ampio spazio per il melò).
Soltanto col figlio scomparso può confidarsi senza alcun problema, evitando che la sua immagine di uomo ambizioso, duro e sicuro di sé possa in qualche modo dare dei segni di cedimento, svelarsi nelle sue insicurezze e nelle sue paure. Enzo non ha certo paura di morire, considerando che la morte fa parte del suo lavoro, e lui stesso incita i suoi piloti ad accelerare di fronte ad ogni ostacolo, di andare sempre avanti qualsiasi cosa succeda, perché altrimenti non sono degni di correre per lui. Se c’è una cosa di cui Enzo ha certamente paura è che il suo mito e la sua figura, alimentata nel corso di un decennio, possa scomparire senza lasciare traccia, perché lui dentro la storia ci vuole rimanere ad ogni costo, lasciandoci un segno profondo, e per questo fa di tutto per salvare la sua azienda, e quindi sé stesso, dal fallimento.
Per il “Commendatore” (uno dei suoi tanti appellativi) si deve guardare unicamente al futuro, abbandonando il passato e tutti i problemi (risolti e non) che esso porta: la vita va vissuta come una gara, il cui obiettivo è sempre quello di vincere ogni sfida che essa pone, giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno. Nel corso del film il passato torna a fare visita nella mente di Enzo, quando assiste a teatro, accompagnato da alcuni membri della scuderia ma senza la moglie (non a caso), ad una messa in scena della “Traviata” di Giuseppe Verdi: il ricordo del fratello morto in guerra, della storia d’amore segreta con Lina, della ricostruzione post-bellica… Tutto in un attimo, in una singola sera(ta), per poi essere messo da parte, perché se ci si guarda continuamente (in)dietro si rischia di finire fuori dalla strada.
E fuori dalla strada, e dalla vita, ci finiscono i due piloti di punta della scuderia, prima Eugenio Castellotti (giovane promessa delle corse automobilistiche, considerato il possibile erede di Ascari), che perisce all’Aerautodromo di Modena, in una prova di velocità in cui stava tentando di battere il record della pista (detenuto dai rivali della Maserati), schiantandosi a 200 chilometri all’ora e morendo sul colpo, e poi Alfonso de Portago, che ironia della sorte fu assunto per sostituire proprio Castellotti.
Lo spagnolo perì nella tristemente celebre “Tragedia di Guidizzolo”, proprio durante la “Mille Miglia” del 12 maggio 1957, in cui la Ferrari riuscì a trionfare con Piero Taruffi: nell’incidente morirono anche il copilota Edmund Nelson e nove spettatori, tra cui cinque bambini, e il clamore suscitato a livello nazionale e internazionale dal tragico evento fu tale da portare alla soppressione della gara. Lo stesso Enzo venne inizialmente incriminato per il fatto dalla giustizia italiana, che stabilirà poi la sua estraneità ai fatti.
Il prezzo della vittoria è stato comunque molto alto in termini di vite, e la Ferrari da lì a poco rinuncerà per sempre alla sua indipendenza organizzativa, con l’ingresso della FIAT della famiglia Agnelli nei quadri societari (come si vede anche in una delle scene finali della pellicola in cui Enzo parla a telefono con l’Avvocato Gianni Agnelli). “Ferrari” è la storia di un eroe con tante macchie e tante paure, il resoconto della fine di un’epoca sportiva (la Mille Miglia abolita) e dunque anche storica, un intenso melodramma e soprattutto un grande esempio di cinema che sa essere (come sempre, con Mann) così classico e al tempo stesso così moderno nel suo linguaggio. Fuori dal tempo, e per questo così prezioso, oggi.