povere creature

Povere creature!: alla ricerca della libertà

Dopo essere stata riportata in vita da un folle esperimento compiuto dallo scienziato Godwin Baxter, la giovane Bella vive reclusa nella dimora del suo “creatore” e le viene impedito qualsiasi contatto con il mondo esterno. Ma la voglia di scoprire cosa di cela al di fuori delle opprimenti mura della villa, porterà la donna ad intraprendere un viaggio in giro per il mondo accanto all’avvocato Duncan Wedderburn, scelto come amante e compagno d’avventura.

Lo scienziato (Willem Dafoe) e la sua “creatura” (Emma Stone)

L’ottavo lungometraggio del regista greco Yorgos Lanthimos, il quarto in lingua inglese, vincitore del Leone d’oro allo scorso Festival di Venezia, “Povere creature!(“Poor Things in originale), è sicuramente uno dei suoi lavori più grotteschi e divertenti, ma non per questo meno complesso nei (tanti) temi affrontati, che colpisce immediatamente per la particolarità della sua ambientazione, che adopera quasi una fusione tra l’immaginario steampunk, il dramma storico in costume e la fiaba dark.

Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore e artista (è stato in vita pittore, poeta, drammaturgo e illustratore) scozzese Alasdair Gray (scomparso nel 2019, due anni prima dell’inizio delle riprese della pellicola), scritto nel 1992, e uscito in Italia due anni dopo con il titolo “Poveracci!” (poi ristampato lo scorso anno con l’omonima traduzione italiana del film), “Povere Creature!” parte come il più classico dei romanzi gotici alla “Frankenstein” nella prima parte, dominata da un cupo bianco e nero, per poi colorarsi nella seconda metà, tramutandosi in un romanzo di formazione sulla ricerca della libertà, femminile e non solo, velato da un spirito satirico anti-borghese (ben presente anche nell’opera di Gray).

L’inizio dell’opera fa pensare, come detto in precedenza, ad una specie di remake e/o omaggio non dichiarato della seminale opera di Mary Shelley: c’è infatti uno scienziato pazzo (dal viso sfigurato), ovvero il chirurgo Godwin Baxter (interpretato da un sempre clamoroso Willem Dafoe), che si fa chiamare da colleghi e studenti “God” (“Dio”), mentre il cadavere riportato in vita attraverso inquietanti esperimenti è quello di una donna trovata morta suicida sulla riva di un fiume, che il signor God decide di chiamare Bella (una Emma Stone nel ruolo più convincente della sua carriera).

La “nuova creatura” si trova dunque con la mente di un bambino appena nato nel corpo di un’adulta, letteralmente: infatti la donna al momento della morte era incinta, e il folle chirurgo ha posizionato il cervello del neonato al posto di quello della mancata madre, generando così un “mostro affascinante”, che viene appunto educata come una bambina. God e i suoi assistenti le insegnano a parlare, mangiare, lavarsi e a comportarsi in modo corretto, impedendole però di lasciare l’abitazione dello scienziato, per via dei troppi pericoli che potrebbero celarsi nel mondo esterno, in una grigia Londra vittoriana, che si trova in piena rivoluzione industriale.

Bella però, che matura molto in fretta (imparando circa più di 100 parole al giorno), spinta dalla curiosità, insiste sempre di più con “God” e il suo giovane assistente Max (interpretato da Ramy Youssef) per farsi portare fuori dall’opprimente abitazione e vedere cosa c’è al di fuori di quelle mura. I due assecondano la sua volontà, portandola in un parco, oltre che a visitare la città all’interno di una carrozza, ma a lei questo non basta, e la voglia di scappare per vedere con i suoi occhi i segreti del mondo, aumenta sempre di più.

Per impedire che la sua “creatura” possa scappare dalle sue mani, God arriva persino a combinare un matrimonio tra Bella e Max, che nel frattempo si è davvero innamorato della “creazione” del suo maestro. Questo però non riesce a convincere la sempre più intraprendente Bella, che nel frattempo, mentre scopre il piacere generato dalla masturbazione, si imbatte in un avvocato donnaiolo, Duncan Wedderburn (un Mark Ruffalo in grande spolvero), anch’egli invaghitosi fortemente della giovane donna. Bella stessa ricambia l’attrazione sessuale di Duncan nei suoi confronti e, unita al suo crescente desiderio di fuga, scapperà sia da God che da Max per iniziare finalmente il suo viaggio alla scoperta del mondo.

Lisbona, Alessandria e Parigi: queste le tappe che percorre la protagonista, ed in ognuna di queste città la sua crescita psicologica, sessuale e soprattutto morale si espanderà sempre di più. Bella, essendo già “nata adulta” e quindi “pura di spirito”, non comprende e anzi rifiuta seccamente qualsiasi convenzione sociale e comportamentale che la società borghese impone, non facendosi nessun problema a parlare di argomenti tabù come il sesso ad una cena galante, o prendendo dei soldi dal suo ricco amante per darli alle persone più povere e bisognose.

Bella legge tanti libri di filosofia, e riesce subito ad elaborare una sua personale “visione del mondo”: in un confronto con un giovane intellettuale che incontra in viaggio su una crociera, che possiede una visione nichilistica del mondo e degli uomini, la protagonista contrappone una visione ottimistica e rivoluzionaria, in cui “tutti possono evolvere e cambiare in meglio”. Più che rifarsi al positivismo scientifico dell’epoca (fiducia incondizionata nel progresso tecnologico e nella ragione degli uomini), Bella incarna piuttosto un pensiero filosofico di tipo utopistico-idealistico, che sognava una società più libera, anticonformista ed egualitaria (ad un certo punto del film inizia infatti a frequentare dei circoli socialisti).

Bella si può quasi considerare una sorta di “Kaspar Hauser” al femminile con una maggior presa di coscienza del mondo che la circonda. Proprio come il personaggio del film di Werner Herzog, anch’ella disobbedisce alla morale e alle regole della sua epoca, perché semplicemente non concepisce queste ultime come un qualcosa di “naturale”, e finisce per elaborare una sua personale idea di mondo, con la differenza che Bella va oltre le premesse e i pensieri e passa anche all’azione (come il già citato episodio dei soldi donati ai meno abbienti).

La “presa di coscienza” di Bella e il suo desiderio di libertà iniziano con la scoperta della sessualità e del piacere, ma il sesso non è nient’altro che un punto d’arrivo, la miccia che fa scoppiare tutto e che mette in moto la ragione. Vero che inizialmente la protagonista ne è ossessionata, grazie all’esperienza con Wedderburn, ma successivamente riesce a controllare del tutto il suo piacere erotico tanto che, quando a Parigi inizierà a lavorare come prostituta, lo farà principalmente per trovare un’occupazione lavorativa che gli permetta di vivere degnamente, e successivamente per pagarsi gli studi di medicina, mettendo davanti a sé il dovere umanitario (il salvare vite per migliorare le condizioni dei più deboli) al piacere fine a sé stesso.

La svolta che determina la fine dell’ossessione sessuale sta nella scena dell’incontro con una donna anziana, interpretata da Hanna Schygulla, che stupisce la giovane Bella dichiarando di non praticare più alcuna attività erotica da oltre 20 anni, e di non ne sentirne affatto la mancanza. La presa di coscienza “femminista” della protagonista parte proprio da quel momento: non a caso, sempre quando si troverà a Parigi per prostituirsi, si divertirà a “giocare” con i suoi clienti, costringendoli a delle “prove” sempre più assurde, per vedere se sono davvero “degni” di unirsi a lei nel rapporto sessuale.

Povere creature!” è certamente un’opera “femminista”, ma è capace di andare ben oltre il femminismo in quanto tale, oltre a riuscire (cosa non certo scontata) a non rendere affatto banale un tema così importante ed abusato come questo. I personaggi maschili non vengono affatto banalizzati e stereotipati, ma anzi anche loro, oltre ad essere accuratamente approfonditi, sono soprattutto variegati, ed ognuno di loro si rapporta in maniera differente con l’altro sesso. Godwin e Max, ad esempio, hanno un rapporto di rispetto e ammirazione per la donna, e se è vero che reagiscono male alla sua dipartita dall’abitazione, è solo perché tengono sinceramente alla sua sorte, e non per discorsi “patriarcali”.

L’avvocato Wedderburn e l’ex marito di Bella (interpretato da Christopher Abbot), un generale divenuto nobile che farà la sua comparsa nella parte finale della pellicola, hanno invece in loro il retaggio della “donna oggetto”, da trattare come un qualsiasi altro bene di loro proprietà. La protagonista si ribella ad entrambi con successo, affermando orgogliosamente di “non essere di proprietà di nessuno”, riducendo in povertà l’avvocato e provocando un incidente all’ex-marito, ferendolo con un colpo della sua stessa pistola, con la quale minacciava la donna e anche la sua servitù.

Nel finale il “rovesciamento di classe” poi si completerà, con il nobile divenuto schiavo tramite un esperimento di Max (che prende le redini dei progetti scientifici di Godwin dopo la sua morte per un tumore), che gli impianterà il cervello di una capra. Uno come Luis Bunuel, da vero dissacratore della società borghese, dei suoi fondamenti e della sua morale, avrebbe sicuramente apprezzato un’opera come questa.

Yorgos Lanthimos, sicuramente un seguace dell’opera del grande cineasta spagnolo sopramenzionato, mette in scena la vicenda con tutti i suoi ormai consolidati marchi stilistici: il continuo utilizzo di fish-eye, l’abuso di zoom, le steadycam che seguono i personaggi nelle scene in cui questi si muovono lungo dei corridoi ecc… Se a livello tematico il film è debitore di Bunuel, a livello stilistico ci troviamo una chiara influenza del cinema di Stanley Kubrick: si potrebbe (e non troppo ironicamente) affermare che “Povere creature!” a livello di ambientazione stia in un limbo tra “Barry Lyndon” e Arancia Meccanica“, tra il realismo storico e la distopia futuristica.

Al di là del contenuto politico, stilistico e scenografico, “Povere creature!” è anche una delle commedie più divertenti e splendidamente realizzate dell’ultimo decennio: un cinema che sa essere sia orgogliosamente “autoriale” che “popolare”. E neanche questo al giorno d’oggi è scontato.

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