Dopo essere stato condannato per frode fiscale a risarcire più di 350 milioni di dollari, Donald Trump si è presentato a Philadelphia per il lancio delle sue sneakers. L’occasione, perfetta per distogliere l’attenzione dalla condanna civile e dai numerosi processi penali che lo vedono coinvolto, è stata quella dello Sneaker Con, il raduno di appassionati di sneakers più partecipato al mondo.
Trump è stato fischiato e applaudito dai presenti (tra i quali qualche sostenitore) durante la presentazione di un modello di sneakers dorate (simili per design alle celebri Air Jordan 1 di Nike) che presentano la bandiera americana e una “T” laterale e sulla linguetta frontale. Mille paia di scarpe in edizione limitata, ciascuno al prezzo di 399 dollari, denominate “The Never Surrender High-Top“, sono andate a ruba in meno di quarantotto ore dalla messa in commercio sul sito gettrumpsneakers.com. In pre-order rimangono disponibili altri due modelli di sneakers, una colonia e un profumo della linea presidenziale “Victory47”.
“Audaci, dorate e resistenti, proprio come il presidente Trump“, le Sneakers non contribuiranno a finanziare la campagna elettorale del tycoon ma andranno ad impinguare le sue casse tramite un accordo di licenza per l’uso dell’immagine e del marchio ‘Trump’ stretto con l’azienda produttrice. Si tratta di un’altra trovata commerciale come le tante già messe in campo da Trump e dai suoi collaboratori per promuovere la sua immagine. Non bisogna dimenticare che Donald Trump proviene dal mondo del business immobiliare e ha sempre visto nelle pratiche di consumo e di intrattenimento una modalità idonea a fidelizzare una fetta di consumatori-elettori.
Ogni brand gode però di un certo grado di reputazione. Trump è definito un caso di self-branding in quanto utilizza la sua persona e la sua popolarità per fare affari, per comunicare dei valori e veicolare dei simboli, oltre che per promuovere la sua campagna elettorale. Un legame, quello tra affari e politica, che se da una parte, permette a Trump di monetizzare il suo consenso, dall’altra rischia di collegare indissolubilmente qualsiasi attività commerciale alla sua stessa attività politica (sempre sopra le righe).
Secondo un’indagine condotta da City Realty e rilanciata dal New York Times il marchio Trump è già in crisi a Manhattan dove il valore degli edifici che presentano al loro ingresso il marchio “Trump” è in calo dal 2016, l’anno domini che segna l’ascesa politica dell’imprenditore. A causare il calo del valore per metro quadro degli immobili, secondo alcuni esperti, sarebbe proprio l’associazione dei grattacieli all’immagine politica di “Trump”. La conferma è data dal fatto che, in una condizione di crescita del mercato immobiliare nella stessa zona, gli edifici che per volere dei residenti hanno rimosso – dopo battaglie legali – il marchio Trump hanno aumentato il loro valore.
Dunque, la politica non ha aiutato Trump a Manhattan, un tempo centro del suo business e adesso periferia nella mappa del consenso elettorale. Gli affari potrebbero, forse, andare meglio in Florida, a Mar-a-lago, o in altri Stati repubblicani.
Bistecche surgelate, acqua, vino e figurine collezionabili
Ritorniamo al lancio delle sneakers d’oro. Non è la prima volta che Trump ricorre a strategie di branding e presta la sua popolarità per esperimenti commerciali tra i più disparati (e bizzarri). Nel 2016, dopo la vittoria alle primarie repubblicane del Michigan e del Mississipi, Trump tenne una conferenza stampa nel suo golf resort, in Florida, in cui il confine tra infomercial (unione tra information e commercial adv) e politica era tanto sottile da confondere i presenti. Nel suo discorso di ringraziamento parlò del suo vino, dell’acqua e delle bistecche offrendo ai giornalisti presenti alcune bottiglie. Il messaggio era chiaro, e simbolico: il brand Trump riesce a soddisfare i bisogni degli americani e a porsi come un modello di business di successo. Il branding è da sempre la specialità di Trump, un politico-celebrità e uomo d’affari a cui basta conferire la propria benedizione a una fetta di carne o a dell’acqua per trasformare il tutto in Trump Steak o Trump Water.
Alcune trovate commerciali, va sottolineato, sono state lanciate prima del 2016, ma Trump non ha fatto a meno di pubblicizzare, anche in contesti politici e istituzionali, i suoi prodotti, non tanto per aumentare i ricavati delle aziende che li confezionano quanto per affermare l’unicità del suo brand.
Nel 2023, l’ex-presidente ha stretto un altro accordo commerciale, concedendo la sua immagine e il suo marchio per la realizzazione delle Trump Cards, figurine digitali che sfruttano la tecnologia NFT. Le carte collezionabili online ritraggono Donal Trump come un supereroe e possono essere scambiate dagli utenti o rivendute, ampliando così il proprio valore. Questa formula commerciale, che unisce celebrità politica e pubblicità, è alla base di altre operazioni di marketing con il quale si sfrutta la notorietà di star dello spettacolo o dello sport per entrare in nuovi mercati o piattaforme e pubblicizzare un brand. L’ideatore delle Trump Cards è Bill Zanker, un venditore seriale, ed ex-collaboratore di Trump, che ha venduto corsi di auto-aiuto, attrezzi da palestra e massaggi per la schiena. Pare che Zanker avesse fiutato, tramite le Trump Cards, un affare da 100 milioni di dollari che in realtà ha fruttato ricavi per poco più di 5 milioni, secondo l’analisi di Crypto Slam. Le cards sono infatti state acquistate per lo più da elettori di Trump che non erano interessati a rivenderle o entrare nel mercato degli NFT. Lo stesso Trump, sconsigliato dal suo stesso team di campagna, pare abbia accettato con l’unico scopo di raggiungere un elettorato più giovane.
Non solo merchandising
Una foto racconta meglio di qualsiasi descrizione o commento la parabola politica (discendente o ascendente, giudicate voi) di Donald Trump. È la foto-segnaletica rilasciata il 23 agosto del 2023 dall’ufficio dello sceriffo della contea di Fulton, in Georgia. La prima foto-segnaletica di un ex-presidente degli Stati Uniti, accusato dai pubblici ministeri locali di aver avuto un ruolo di primo piano in una cospirazione tesa a ribaltare il risultato elettorale delle elezioni presidenziali del 2020 in Georgia. La foto che segna un periodo politico fatto di incertezza e di controversie per gli States, è immediatamente stata utilizzata dagli avversari politici (democratici e repubblicani) di Trump per la vendita di oggetti vari (gadget e merchandising) volti a delegittimare la sua corsa alla Casa Bianca. Tuttavia, la stessa foto segnaletica, è stata utilizzata anche dal Comitato di Trump, che ha trasformato l’onta di indignazione nei confronti dell’ex-presidente, in un’operazione di marketing, contenente il messaggio “Never Surrender“, per raccogliere fondi e riposizionare ancora una volta il brand.
D’altronde, il brand Trump, racchiude e comunica da sempre una visione manichea della politica e della società che vede in Trump (il protagonista) un eroe in grado di contrastare le élite politiche, culturali (i media e i giornalisti) e persino giudiziarie del Paese (i cattivi che vorrebbero impedire al tycoon una possibile rielezione).
Il portavoce di Trump, Steven Cheung, affermava a fine agosto su X che la Campagna Trump aveva incassato 7,1 milioni di dollari dalla foto-segnaletica, dimostrando l’originalità di un’operazione di reframing che racchiude tutte le contraddizioni e tutti i valori dell’universo Trump. Da questo episodio sono stati infatti prodotti una serie di NFT – “Mugshot Edition” – che includono pezzi fisici della giacca blu e della cravatta rossa che Trump indossava al momento dello scatto della celebre foto. Nel sito web era possibile acquistare i resti del “manufatto storicamente più significativo della storia americana”, un pezzetto di storia politica diventata merce da collezionare. Una reliquia dal valore inestimabile per i consumatori del brand Trump.