Megalopolis: utopia, disastro e sogno

Cesar Catilina è un architetto innovativo e geniale, dotato del potere di fermare il tempo, il cui grande sogno è quello di ricostruire la metropoli di New Rome (una versione “alternativa” di New York ), riprogettandola da zero, grazie all’aiuto di un materiale da lui scoperto, il megalon. Il suo piano utopistico è però ostacolato da alcuni degli uomini più potenti della città, tra cui il sindaco in carica, che non intendono in alcun modo finanziare il suo ambizioso progetto

Cesar Catilina (Adam Driver) e Julia Cicero (Nathalie Emmanuel), in una scena del film

Era da ben 13 anni (così tanti ne sono passati dall’uscita di “Twixt“, datato 2011) che gli appassionati di cinema e gli addetti ai lavori aspettavano un nuovo film di Francis Ford Coppola. Ed era da ben 40 anni che lo stesso regista italo-americano sognava/aspettava di portare in scena Megalopolis, un grande e ambizioso progetto, probabilmente il testamento definitivo della sua poetica (ma si spera comunque che non sia il suo ultimo lavoro per il cinema).

Per riuscire a portarlo a termine, Coppola è finito letteralmente in bancarotta, investendo tutto il budget del film di tasca sua (circa 120 milioni di dollari, recuperati grazie alla vendita delle sue aziende vinicole), visto che nessuna casa di produzione era disposta a fare un sacrificio simile, per un’opera che non poteva avere alcunché di “commerciale”, e che infatti al botteghino si è rivelata un autentico (e prevedibile) fiasco, con soli 13 milioni di dollari incassati.

Ormai annunciato come il più grande flop finanziario del regista, superando addirittura quello di “Un sogno lungo un giorno” (One from the Heart, 1982), che al botteghino incassò appena 600mila dollari a fronte di un budget di circa 20 milioni, Megalopolis, come se non bastasse, è stato preceduto da svariate controversie durante la sua (travagliata) lavorazione, tra licenziamenti in tronco del personale, accuse di molestie sessuali e persino consumo di “droghe” (!) da parte del regista sul set ecc…

Insomma un’opera che partiva sotto le più cattive delle acque non poteva che rivelarsi un film “maledetto”, e non solo per gli incassi e il processo produttivo, visto che anche i giudizi della critica si sono rivelati più polarizzati del previsto (e anche questo forse era più che prevedibile): nessuna via di mezzo nei giudizi, si va dal “capolavoro definitivo” al “film pretenzioso, vecchio e noioso”. Quando un’opera è così divisiva nel giudizio, l’unico giudice rimasto per giudicarla è il tempo, che non a caso è uno dei temi principali su cui si dipana Megalopolis.

Ci troviamo in un futuro alternativo, in cui la capitale degli Stati Uniti (ma saranno davvero ancora uniti?) è New Rome, sorta di versione “retro-futurista” di New York, in cui tra la modernità tecnologica contemporanea fanno capolino scenari e situazioni che paiono usciti proprio dal fu Impero Romano: corsa delle bighe, lotta tra gladiatori, abiti tipici dell’Antica Roma e soprattutto i nomi dei personaggi, che richiamano esplicitamente quelli degli imperatori romani.

Il protagonista della “fiaba” (il sottotitolo del film recita proprio “a fable“, maltradotto in italiano con “favola”) è Cesar Catilina (un Adam Driver perfetto, il cui nome richiama sia il celebre imperatore che il famoso cospiratore dell’impero), un architetto premio Nobel dotato del potere di fermare il tempo, il cui obiettivo/sogno è quello di riprogettare da zero la Metropoli, creando una città immutabile nel tempo e vivibile per tutti i cittadini, grazie all’aiuto di un materiale da lui scoperto, il megalon.

Il progetto utopico e visionario del giovane architetto è però ostacolato dall’élite della città, rappresentata dal sindaco in carica Frank Cicero (interpretato da Giancarlo Esposito, e ispirato nel nome a Cicerone, non a caso storico nemico di Catilina), che difende strenuamente i privilegi della borghesia patrizia di cui fa parte, e il cui obiettivo è invece quello di costruire un grande casinò, se verrà rieletto per un nuovo mandato.

Ciononostante anche Cesar Catilina ha un potente alleato nella classe patrizia, ovvero suo zio, il banchiere Hamilton Crasso III (interpretato da Jon Voigt, il cui nome si rifà a quello di Marco Licinio Crasso, comandante militare alleato di Giulio Cesare), finanziatore di tutti i suoi progetti, e anche la figlia di Cicero, la bella e ribelle Julia (Nathalie Emmanuel), è affascinata dal carattere ambizioso e folle di Cesar, finendo per innamorarsi di lui.

Essendo Megalopolis una fiaba, ci si aspetterebbe di trovare una divisione netta fra buoni e cattivi, ed in parte è così, soltanto che i buoni (specie il protagonista) sono tutt’altro che eroi senza macchie e paure… E’ vero che Cesar Catilina è un sognatore ed un genio, ed ha pure dei superpoteri (ma non è affatto un supereroe), e utilizza il suo sapere per sfidare i “potenti corrotti” per un “bene superiore” (una città vivibile per tutti i cittadini).

Una sorta di “Elon Musk progressista”, o sarebbe meglio paragonarlo al personaggio di Preston Tucker, l’ingegnere visionario e ambizioso protagonista di un altro film di Coppola, “Tucker – Un uomo e il suo sogno” (1988), che produsse un nuovo tipo di automobile, più sicura e affidabile, e che per questo si attirò le antipatie della grandi casi automobilistiche dell’epoca.

Ciononostante la figura di Cesar Catilina non è affatto limpida, ma ha molte ombre: in passato venne indagato per l’omicidio della moglie, e anche se alla fine fu assolto dalle accuse, sente comunque il peso di aver contribuito in qualche modo alla sua morte, per averla forse trascurata troppo… Oltre a ciò fa regolarmente uso di alcol e droghe, come accade alla festa per il matrimonio di suo zio Crasso, in una delle scene più grottesche e strabordanti del film, degne di maestri del surrealismo come Terry Gilliam o Alejandro Jodorowsky.

E’ forse sin troppo semplicistico, ma palesemente voluto, il parallelismo tra la figura di Catilina e quella dello stesso Coppola, uno degli ultimi grandi registi del cinema americano (non a caso venuto fuori dalla “New Hollywood“), uno degli ultimi rimasti a credere nel cinema come forma d’arte prima che intrattenimento, a vedere nel cinema la realizzazione dei sogni e delle utopie dell’uomo, da sempre in lotta contro i potenti di turno, rappresentati dalle case di produzione nel suo caso, che vedono il cinema solo come una macchina per fare soldi. Ed anche la vita di Coppola, come quella di Catilina, è stata piena di ambiguità, di eccessi e di debolezze: l’emergere dell’umanità dietro al genio.

Ma in fondo tutto Megalopolis può essere letto sotto la chiave meta-cinematografica, che non è ovviamente la sola adatta a decifrare l’opera, ma è comunque una delle più rilevanti: lo stesso megalon, il materiale rivoluzionario creato da Catilina, che è immune allo scorrere del tempo e permette la creazione probabilmente infinita di nuove forme e nuovi spazi, cos’altro non è se non la rappresentazione del cinema stesso, capace di reinventarsi continuamente, di rinnovare le proprie immagini ad ogni nuova era, e che è ovviamente impossibilitato ad invecchiare e a morire, perché le immagini persistono nella memoria collettiva.

Catilina, tramite l’utilizzo del megalon, è in grado controllare il tempo, esattamente ciò che ogni grande regista fa quando gira la sua opera: crea il suo mondo, lo manipola come vuole a suo piacimento, ne è il demiurgo assoluto, e rende la sua opera immortale, immune al passare delle ore, dei giorni e degli anni.

Il tempo, poi, è stato varie volte protagonista nella filmografia di Coppola, declinato chiaramente in vari generi e forme: basti pensare a film come “Peggy Sue si è sposata” (1986), in cui la protagonista torna indietro nel tempo negli anni dell’adolescenza, oppure a “Jack” (1996), in cui il protagonista (interpretato da Robin Williams) era un bambino che invecchiava sin troppo precocemente.

C’è poi il lato “politico” del film, che abbonda di tante osservazioni/allusioni più o meno velate alla contemporaneità: dalla disuguaglianza di ricchezza, con i pochi patrizi che vivono nel lusso, mentre i tanti plebei sono costretti invece a sopravvivere tra i bassifondi della città, alla questione della transizione ecologica.

Riguardo quest’ultima, il grande piano di Catilina, per realizzarsi a pieno, deve obbligatoriamente passare dalla demolizione dei vecchi quartieri popolari per far spazio ai nuovi e sostenibili edifici in megalon: è una condizione inevitabile. Ovviamente ciò scatena l’ira della stragrande maggioranza della popolazione meno abbiente, già provata da condizioni di vita instabili e precarie, che non accetta naturalmente di dover compiere ulteriori sacrifici per la realizzazione di qualcosa che a stento faticano a comprendere e che chissà se davvero si realizzerà.

Ed è qui che se ne approfitta il populismo più reazionario, incarnato dalla figura di Clodio Pulcher (interpretato da Shia LaBoeuf), cugino di Catilina, che prende le parti di quella popolazione in difficoltà (con l’ipocrita slogan “Potere al Popolo!“), unicamente per fare i propri interessi, e quelli della sua classe, tentando di sbarazzarsi di suo cugino, per cercare di prendere il potere e diventare il nuovo sindaco.

Anche qui, piuttosto chiaro il parallelismo tra Clodio e Donald Trump, con l’unica differenza che se il primo alla fine fallisce nel suo intento, il secondo ci è riuscito per la seconda volta… Sempre parlando di Trump e populismo, un altro dei temi di Megalopolis è la disinformazione nell’era dei mass media, oltre che il rapporto tra media e potere, con la problematica del conflitto di interessi (la conduttrice televisiva più famosa del Paese, ovvero Wow Platinum (Aubrey Plaza), finisce per sposarsi con lo zio di Catilina, il banchiere Hamilton Crasso).

In Megalopolis compare ogni genere di media, da quelli più tradizionali come i giornali, sino ad arrivare alla televisione e alla rete in cui, tra post-verità e fake news, si creano scandali ad hoc per screditare un personaggio che in quel momento risulta “scomodo” per quel tipo di establishment, che quei media gli sfrutta per portare acqua al proprio mulino.

Ed è ciò che succede proprio a Catilina, la cui figura viene pesantemente dileggiata dopo la circolazione di un video in cui si trova in rapporti intimi con la popstar Vesta Sweetwater, che “ufficialmente” sarebbe ancora minorenne e vergine: peccato soltanto fosse tutta una menzogna, visto che la giovane diva si scopre in realtà essere maggiorenne, avendo mentito sulla sua data di nascita.

Coppola ci narra questa storia, o sarebbe meglio dire questa fiaba, non seguendo minimamente uno stile lineare nella costruzione filmica delle immagini e della vicenda, ma alternando continuamente momenti di cinema che a volte scadono nel kitsch (se non addirittura toccando punte quasi trash), ad altri invece che lasciano senza parole da quanto sono visivamente abbacinanti ed ispirati, muovendosi sempre in bilico tra neoclassicismo e postmodernismo, con tutti i loro pregi e difetti messi assieme, senza, come sopramenzionato, alcuna continuità nel registro espressivo.

E’ certamente questa spiazzante (e forse sin troppo esasperante) alternanza tra i due toni, che ha fatto (comprensibilmente) storcere il naso a tanti spettatori e a tanta critica di fronte a Megalopolis, quasi come se pensassero che il regista non sapesse minimamente dove voler andare a parare con quelle immagini. Coppola però non se n’è minimamente curato, cercando di creare qualcosa di unico, nel bene e nel male, un qualcosa che da un lato potrebbe essere percepito come “fuori tempo massimo e pretestuoso”, e dall’altro come “innovativo e magnifico”.

La già precedentemente citata scena della festa, con tutto quel baccano lisergico e grottesco, può far storcere il naso a più di qualcuno, ma ad esempio la scena della “catastrofe” (in cui un satellite sovietico cade sulla Metropoli), in cui il regista utilizza un tono quasi espressionista nel riprendere le ombre dei cittadini spaventati, mettendo in secondo piano l’esplosione della città, non può lasciare indifferenti da quanto è visivamente geniale.

Megalopolis, come tutte le fiabe che si rispettino, ha un lieto fine (SPOILER): la rivalità tra Cicero e Catilina, apparentemente insanabile, d’un tratto si assopisce grazie alla forza dell’amore (Catilina e Julia, la figlia del sindaco, si innamorano e finiscono per avere un bambino), e alla fine il sindaco cede, consentendo alla realizzazione di Megalopolis. La popolazione, inizialmente così ostile nei confronti dell’architetto, si placa e inizia a seguirlo, dopo che quest’ultimo ha tenuto un discorso memorabile davanti a loro (citando addirittura “La tempesta” di Shakespeare, con il celebro verso “siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni“)

Il sogno insomma diventa realtà, il megalon cambia in meglio la vita di tutti gli abitanti e le nuove generazioni (memorabile, anche questa, l’inquadratura finale sul bambino dopo che il tempo si ferma) avanzano nel migliore (?) dei mondi possibili. Tutto troppo bello, e tutto sin troppo utopistico, e non a caso è solo un film: che non riuscirà mai a cambiare lo stato delle cose, vero, ma intanto può farci vivere un sogno ad occhi aperti, come, con tutti i suoi possibili (passabili?) difetti, è questo Megalopolis.

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