Celebrity e anticelebrity politics: Schröder e Merkel a confronto

Lo studio della leadership politica

Il concetto di leadership, inteso come modalità di esercizio del potere, è da sempre legato alla storia dei media e alle forme in cui lo stesso potere viene narrato. Un leader per essere tale ha bisogno di seguaci (followers) così come di storie. Le storie entrano nell’immaginario collettivo, racchiudono universi valoriali e servono a costruire la cornice (il frame) entro cui il leader si muove. I mezzi di comunicazione rappresentano, dunque, degli strumenti indispensabili per permettere ai leader di entrare in contatto con i propri followers, soprattutto se il medium permette una modalità di comunicazione diretta. Il presidente statunitense F. D. Roosevelt aveva già compreso l’importanza della radio negli anni Venti e Trenta e la utilizzò per veicolare i suoi discorsi (dal caminetto) che entravano direttamente nelle case dei cittadini americani grazie ai primi apparecchi radiofonici.

La mediatizzazione della politica conoscerà una forte accelerazione tra gli anni Settanta e Ottanta, anni d’oro del medium televisivo. In questo contesto di forte spettacolarizzazione, delle forme del linguaggio e del dibattito politico, qualcuno inizierà a parlare di telepolitica o videopolitica per affermare l’egemonia del medium visivo sulla stampa tradizionale e la radio. Ma la mediatizzazione è solo la punta dell’iceberg di quel processo di personalizzazione tale per cui ha senso discutere di ‘personalised leadership’, ovvero di una leadership che prende forma attorno alle persone piuttosto che ai corpi collettivi che in Italia erano già entrati in crisi prima della caduta del Muro.

Che cos’è la celebrity politics e chi è il leader celebrità

Mediatizzazione e personalizzazione politica sono forse due delle cause concatenanti che stanno all’origine del fenomeno della cosiddetta celebrity politics e della nascita di un nuovo modello di leadership, il leader celebrità, che prendiamo qui in analisi per cercare di comprendere in che modo la popolarità e la celebrità sono divenute qualità importanti per il successo di un leader.  

Il celebrity politician nasce inevitabilmente dall’unione tra media e politica e può essere considerato, secondo la politologa Sofia Ventura, «un leader che si mostra sul palcoscenico della politica con modalità che richiamano l’universo dello spettacolo e dello sport». Secondo David P. Marshall, il leader celebrità prende forma tra la sfera politica e quella dell’intrattenimento connotandosi come un prodotto che risponde ai bisogni dei propri consumatori/elettori. Per leader celebrità si intendono forme di leadership politiche che provengono in qualche modo dal mondo dello spettacolo, e devono gran parte della propria popolarità all’attenzione data loro dai media, così come leadership che, pur non provenendo dal mondo dello spettacolo, ricorrono alla spettacolarizzazione mediatica per accrescere la propria popolarità e guadagnare consensi.

Il presidente repubblicano Reagan ebbe una breve parentesi attoriale prima di entrare in politica anche se la sua popolarità è dovuta più alla sua presidenza e alla istaurazione di un modello di campagna elettorale permanente. Donald Trump proviene dal mondo dello show business (sono note le sue comparse in programmi televisivi e talk show prima di divenire presidente) e ha utilizzato le stesse regole dell’entertainment per attirare su di sé l’attenzione di un elettorato disilluso e rancoroso nei confronti delle élite politiche e intellettuali.

In Italia, Silvio Berlusconi può essere riconosciuto come un modello di celebrity politician per la capacità, senza precedenti, di utilizzare il linguaggio televisivo e trasformare le sue apparizioni in veri e propri eventi mediatici (emblematico il contratto con gli italiani siglato nello studio televisivo di Porta a Porta).

La commistione tra intrattenimento e politica è presente anche nella leadership di Matteo Renzi che per lanciare il suo brand persona ricorre all’ideazione di un evento come la Leopolda, strutturato come un vero e proprio format televisivo in cui lo stesso Renzi agisce in veste di conduttore e personaggio attorno al quale si alternano endorsment, testimonianze, e investiture politiche da parte della società civile. Renzi, da sindaco di Firenze, si presentò ospite del programma televisivo ‘Amici’, condotto dalla regina italiana del prime-time televisivo Maria De Filippi, in giubbino di pelle e jeans, acclamato da un pubblico giovanissimo intento ad ascoltare un monologo simile alla performance in un talent-show.

Ritornando al rapporto tra media e politica, la celebrity politcs sfrutta quella logica mediatica, definita nel 1979 da Altheide e Snowmedia logic“, per il quale i media tendono a rappresentare e interpretare le vicende sociali all’interno di un processo più ampio di comunicazione di massa dove si sviluppa l’interazione tra la comunicazione dei media e il modo in cui questa viene interpretata e messa in atto dai pubblici.

In altre parole, i media operano con l’obiettivo di massimizzare la propria audience per attirare introiti pubblicitari, per questo motivo i contenuti prodotti sono sovra-generalizzati e tendono a produrre ‘personalità mediatiche’. Il fenomeno di mediatizzazione della politica diventa così inevitabile, la politica entra nel racconto mediatico ma assumendo forme e tempi tipici della televisione prima e dei social network in seguito. Non sono, dunque, i media ad adattarsi al linguaggio e ai tempi della politica ma la politica a mutare la propria forma per diventare politica-spettacolo.

Vi è un poi un aspetto che riguarda la spettacolarizzazione della vita privata di uomini politici. Questa sovraesposizione tra vita pubblica e privata ha contagiato anche la leadership politica e la stessa comunicazione politica. È sempre più comune la condivisione da parte dei leaders di momenti della propria vita privata sui social network o la realizzazione di servizi fotografici e interviste cucite appositamente per tabloid e settimanali di gossip. Il leader celebrità decide di mostrare appositamente il proprio privato per entrare in empatia con i followers, rivelando la propria vita sentimentale e i propri hobbies. Per descrivere questo fenomeno, James Stanyer ha sviluppato il concetto di intimate politics con il quale si riferisce a una dimensione pubblica dell’intimità.

In occasione delle elezioni britanniche del 2010, un leader di charme come David Cameroon, decise di costruire la propria immagine di celebrity politician esibendo volentieri momenti della sua vita privata. Nel 2006 Cameron inaugura la ‘Web Cameron’, una webcam attraverso il quale il tory boy si rivolgeva direttamente ai suoi elettori caricando dei video su YouTube. David Cameron parla di politica ma utilizza la piattaforma web per condividere momenti di intimità familiare, come un video in cui è intento a preparare la colazione ai figli e alla moglie.

Perché ha senso parlare di anticelebrity politics

l fenomeno della celebrity politics e del celebrity politician si basa, come osservato, sull’accumulazione di un grande capitale mediatico e di una forma di spettacolarizzazione che spesso sta alla base della ‘fragilità’ di questi modelli di leadership. La politica spettacolo, l’uso di forme di entertainment, la stessa intimate politics, rischiano spesso di delegittimare i leaders che per essere tali hanno bisogno costantemente di stare al centro dell’attenzione. Non è un caso che il leader celebrità sia anche un leader narcisistico o di charme, una persona attratta dal mondo dello spettacolo e alla ricerca costante di palcoscenici.

Dalla celebrity politics è tuttavia possibile risalire ad un’altra forma di leadership che esiste solo in contrapposizione con essa, ossia quella dell’anticelebrity politics. Ogni eroe ha bisogno di un antieroe che ha ragione di esistere solo in contrapposizione all’eroe stesso. Per questo motivo ha senso parlare di anticelebrity leadership riferendoci a quelle leadership che si differenziano perché in grado di sottrarsi alle dinamiche di spettacolarizzazione, personalizzazione e mediatizzazione.

L’anticelebrità esiste se contrapposta alla celebrità mediatica ed è spesso il risultato di un ambiente politico e mediatico saturo, in cui la presenza di leadership tradizionali vengono accolte positivamente dagli elettori. Ha senso, dunque, parlare di anticelebrity politics riferendosi alla leadership del Presidente Joe Biden rispetto al predecessore Donald Trump, o allo stile di leadership di Paolo Gentiloni dopo la personalizzazione politica introdotta da Renzi a più livelli (partito e governo), o ancora dello stile sobrio e pragmatico di Mario Draghi nella gestione dell’emergenza pandemica e politica, subentrato a Giuseppe Conte, leader carismatico e popolare che prediligeva l’esposizione mediatica soprattutto se acclamato dalla folla durante i suoi tour per l’Italia.

Ovviamente, il contesto culturale e politico condiziona spesso l’emergere o meno di leader celebrità, così come l’affermarsi di leader anticelebrità.  In un saggio del 2021 vengono distinte due forme di anticelebrità, rispettivamente: ‘reactionary anticelebrity’ e ‘natural anticelebrity’.

L’anticelebrità reazionaria si presenta maggiormente nei sistemi politico-mediatici ‘progressisti’, progettati per abolire le distinzioni di classe e democratizzare la politica, che hanno prodotto una politica popolare e di celebrità, favorendo come conseguenza una politica anticelebrità.

L’anticelebrità naturale è invece presente nei sistemi cosiddetti ‘tradizionali’, in cui la politica non ha incontrato richiami populisti e non si è misurata spesso con iniziative referendarie e popolari. I sistemi che creano ‘reactionary anticelebrity’ sono per lo più quelli presidenziali (Stati Uniti e Francia), mentre quelli che producono ‘natural anticelebrity’ sono pressoché di tipo parlamentare. All’interno di un sistema parlamentare l’anticelebrità può ambire a rivestire ruoli di primo piano, sia di partito che di governo, senza dover per forza sottostare alla media logic che ha trasformato la politica in uno spettacolo.

Riferendoci alla celebrity e all’anticelebrity politics, ci è sembrato opportuno prendere in esame due modelli di leadership all’interno di un sistema politico quale quello tedesco, ritenuto più stabile rispetto ad altri paesi europei. Ci soffermeremo, dunque, su alcuni aspetti della celebrity politics, introdotta in Germania da Gerhard Schröder (non a caso definito da Sofia Ventura come ‘medienkanzler’) e dal leader anticelebrità per eccellenza, la cancelliera Angela Merkel.

Schröder e Merkel: due leadership in antitesi

Per definire la leadership di Gerhard Schröder dovremmo utilizzare la definizione di «leader di charme», per la sua capacità di catturare l’attenzione, di piacere, e di intendere la politica come seduzione. Ma il cancelliere è senza dubbio un caso di celebrity politics per via della spettacolarizzazione politica, tanto da essere definito ‘medienkanzler’ (il cancelliere mediatico), il cancelliere che romperà con la tradizione passata e rappresenterà forse un unicum per la politica tedesca.

Schröder proviene da una famiglia umile, nasce nel 1944 nell’attuale Land del Nord-Reno Westfalia. Il padre morirà in guerra, la madre lavora come domestica per guadagnarsi da vivere e permettere al figlio gli studi. Il futuro cancelliere studierà presso l’Università di Hannover per diventare avvocato, e sin dalla giovane età entrerà a far parte dell’organizzazione giovanile dei social-democratici. Tra il 1980 e il 1986 diviene deputato per il collegio di Hannover, nel 1990 diventerà ministro-presidente del Land della Bassa Sassonia per poi giungere al cancellierato nel 1998.

Schröder sfrutterà sin da subito i meccanismi di costruzione della popolarità e del consenso per farsi scegliere all’interno del partito come candidato alla cancelleria. Per questo motivo, la sua leadership afferma la tendenza a basarsi più sul mandato popolare che sui rapporti e giochi di forza interni al Spd. Con Schröder il marketing politico viene per la prima volta applicato per rimodellare il partito e il candidato all’interno del frame del ‘nuovo centro’.

La leadership di Schröder descritta con l'immagine del candidato al centro - "il cancelliere del centro"- dell'attenzione dei media.
‘Il Cancelliere del Centro” fu lo slogan scelto da Schröder nel 2002, in linea con il messaggio di leader della sinistra progressista come Tony Blair e Bill Clinton.

La campagna elettorale del ’98 fu una campagna media-driven che consacrò Schröder come leader indiscusso. La campagna del 2002 è stata invece la campagna più personalizzata per via del ricorso da parte di Schröder alla strategia della «privatizzazione» o dell’intimate politics con modalità fino allora inedite per la politica tedesca.

Schröder utilizzò l’attenzione che i media rivolsero alla moglie, Doris Köpf, invitata a talk show, convention e inaugurazioni, per contrapporre l’idea di progresso ed emancipazione femminile alla visione cattolica conservatrice del suo avversario. Il medienkanzler sfruttò a suo vantaggio anche il terribile episodio dell’alluvione di Dresda dimostrando di saper intervenire tempestivamente e ponendo attenzione nei confronti di un tema delicato quale il cambiamento climatico. Schröder cercò in tutti i modi di spettacolarizzare la sua figura e di rilanciare il partito che lo aveva aiutato a scalare i vertici del potere, organizzò delle convention di partito sul modello americano, in cui venne accolto dai suoi sostenitori come una vera e propria celebrità.

Il capitale mediatico catturato da Schröder si vanificò però durante il 2005 con la vittoria elettorale di Angela Merkel, leader della coalizione di centro-destra. Angela Merkel incarna perfettamente il modello di leadership pragmatica per via del suo approccio sempre razionale e metodico alla politica.

Figlia di un pastore protestante e di una insegnante, Angela Kosner (Merkel è il cognome del marito) cresce nella Germania dell’Est e sviluppa, forse per questo motivo, un grande senso della libertà e della giustizia. Angela consegue un dottorato in fisica e si avvicina alla politica nel 1989 iscrivendosi al partito ‘Risveglio democratico’. Successivamente entra a far parte della CDU, dove diviene portavoce del primo ministro della Germania orientale. Alla fine del 1990 entra nel Bundestag e diventa ministro delle Donne nel primo governo della Germania unificata. Merkel inizierà una scalata al partito denunciando nel 2000 il suo padre politico, Kohl, e il suo successore, Schauble, entrambi travolti da scandali sul finanziamento ai partiti. Con questa mossa, Angela Merkel diventerà presidente della Cdu, riuscendo a raggiungere la cancelleria nel 2005, sconfiggendo il rivale socialista Schröder.

La leadership di Angela Merkel descritta come rassicurante in un manifesto della campagna elettorale del 2013.
“Il futuro della Germania è in buone mani” è il claim della campagna elettorale condotta dalla Cdu nel 2013, accompagnato da un gesto delle mani che Angel Merkel usava fare spesso.

Merkel rappresenta un modello di anticelebrity politics per via della rottura con il passato, rappresentato dalla spettacolarizzazione politica messa in atto da Shröder. A differenza di quest’ultimo, Merkel si pone come un leader sicuro di sé, in grado di dettare i tempi e le tematiche dell’agenda mediatica. Merkel non si cura molto del suo aspetto, riceve molte critiche per via dei suoi abiti, appare in tv solo per interviste e sempre singolarmente, mantiene un grande riserbo sulla sua vita privata (tanto da sposarsi con il compagno e comunicarlo solo successivamente ai media).

Merkel è un leader pragmatico in grado di affrontare crisi e prendere decisioni utilizzando sempre la logica, anche nei dibattiti politici ha dimostrato calma e distacco, prediligendo la spiegazione razionale e il discorso razionale rispetto alla mera persuasione o al discorso demagogico e populista. Le scelte di Angela Merkel sono sempre argomentate e le hanno permesso forse di assumere comportamenti e iniziative anche impopolari come la scelta di accogliere i profughi siriani nel 2015, il modo in cui affrontò la crisi dell’Eurozona e infine la sfida del Covid-19.

Prendendo in esame il caso tedesco abbiamo osservato in che modo il fenomeno della mediatizzazione e la politica spettacolo ridefiniscono il ruolo della leadership, dando vita a un nuovo modello di leadership celebrità. Il leader che basa la sua forza, la sua retorica e la propria azione sulla popolarità e sull’accumulazione di capitale mediatico è spesso un leader che ha compreso il linguaggio dei media, in grado di spettacolarizzare la sua stessa presenza.

Tuttavia, la celebrità comporta il rischio di sovraesposizione mediatica, una condizione in cui anche una scelta sbagliata rischia di buttare giù il domino della popolarità. Per questo motivo il celebrity politician rischia di fare la fine di un prodotto di intrattenimento seriale, pronto a essere consumato in tempo record dagli elettori. L’anticelebrity politcian è invece un leader in grado di controllare la mediatizzazione, di puntare su grandi abilità e qualità alternative alla spettacolarizzazione. In un contesto come quello odierno, il leader anticelebrità potrebbe apparire come un leader anacronistico, lontano dal presente e dalle logiche della Platform Society. Tuttavia, forme di leadership anticelebrity, spesso, hanno la forza di ridefinire i rapporti di forza tra politica e media, cercando un approccio più autentico e razionale anche nell’utilizzo personale dei social network e di altri strumenti di comunicazione.

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