“Elizabeth Sparkle è un’attrice hollywoodiana che conduce un popolare programma di aerobica, ma che a causa dell’avanzare dell’età (ha raggiunto ormai i 50 anni), viene licenziata dal suo datore di lavoro, alla ricerca di una donna più giovane per far aumentare gli ascolti dello show. Delusa e arrabbiata, ad Elizabeth capita però una grande occasione per rifarsi una vita (letteralmente) dopo che, ricoverata in ospedale per le conseguenze di un incidente stradale, viene a conoscenza di un misterioso trattamento chiamato “The Substance”, che permette a chi ne fa uso di creare una versione più giovane di sé…“
Partiamo da un semplice dato di fatto: le donne registe sono sempre state inferiori in numero rispetto ai loro colleghi uomini nella storia del cinema. Se poi ci si basa unicamente al solo genere horror beh il cerchio si restringe ulteriormente, sino a diventare quasi impercettibile…
Ciononostante pare che in questi ultimi anni qualcosa sia (finalmente) cambiato: due registe, provenienti entrambe dalla Francia (nazione dove si è sempre prodotto grande cinema horror) stanno emergendo a grandi passi in questo genere, con pellicole di grande spessore. Si tratta di Julia Ducournau e Coralie Fargeat, autrici rispettivamente di film come “Titane” (2021) e The Substance (2024), con il primo che ha addirittura vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes, qualcosa di più unico che raro per un’opera di tale genere, tanto per capire quanto (nel bene e nel male) ha smosso le acque.
Ad ogni modo in questa sede non si parlerà di “Titane“, ma del suo “collega”, ovvero The Substance, la seconda opera firmata da Coralie Fargeat, la prima in lingua inglese (dopo aver già diretto nel 2017 il più che interessante “Revenge“), e premiata anch’essa al Festival di Cannes con la “miglior sceneggiatura”.
Ed esattamente come “Titane“, anche The Substance è un body horror, una sottocategoria del genere che mette al centro della scena appunto il corpo umano, che si trova deformato, trasformato e “mostrificato” per varie cause (mutazioni, virus, traumi ecc…).
In The Substance il corpo della protagonista vive sia uno “sdoppiamento” che un “ringiovanimento”, una sorta di “nuova carne che nasce e cresce”, che però nel lungo periodo è destinata al decadimento… Siamo ad Hollywood (terra sinonimo di divismo e bellezza, non a caso), dove facciamo la conoscenza di Elizabeth Sparkle (una Demi Moore nel ruolo più significativo della sua carriera), un’attrice di 50 anni un tempo di grande popolarità, e che ora invece, a causa dell’avanzare degli anni, non trova più un ruolo, e si limita ormai a condurre un programma di aerobica, che però registra ascolti sempre più bassi…
Per far alzare gli ascolti, il produttore televisivo Harvey (un luciferino Dennis Quaid) decide di licenziare in tronco la donna, che considera ormai “troppo vecchia”, e cercarne una più giovane, “di bella presenza” prima che di talento. La donna, delusa e arrabbiata, se ne va, ma nel tragitto per tornare a casa subisce un grave incidente stradale, da cui però esce illesa: un giovane medico però gli consegna una chiavetta USB, contente un video di un misterioso programma per “creare una versione migliore di sè”.
Il nome di tale programma è “The Substance“, e la donna, dopo aver telefonato ed essere andata a prendere di persona il pacco contenente il misterioso programma, accetta di sottoporsi a questo misterioso “trattamento speciale”, vogliosa di tornare ad essere giovane e bella come un tempo.
Ebbene, dopo essersi inoculata la strana “sostanza” si assiste alla “rinascita”: dalla schiena (!), in una sorta di orrido parto, fuoriesce la sua versione più giovane e affascinate (interpretata da un’ottima Margaret Qualley), che deciderà di chiamarsi Sue, una scelta non casuale, dato che il nome (un diminutivo di “Susanna”), di origini ebraiche, ha come significato letterale “grazia, bellezza, splendore”.
La “nuova Elizabeth“, ovvero Sue, prende parte alle audizioni per il programma di aerobica e viene subito assunta, riuscendo a far schizzare alle stelle il programma, per la gioia del perverso produttore Harvey. Il “vecchio e originale” corpo di Elizabeth giace invece abbandonato nel bagno di casa, che però per motivi legati alla durata della sostanza, deve essere “ripreso” in mano dopo sette giorni dall’inizio del trattamento, e così via ogni volta che l’Elizabeth 50enne vuole tornare dentro la giovane Sue.
L’utilizzo della sostanza diverrà però ben presto una dipendenza per la donna, che non potendo più farne a meno finirà per consumarla tutta, fino ad arrivare a scelte sempre più drastiche destinate a portarla alla follia…
Sarebbe sin troppo semplicistico ridurre un’opera come The Substance a “body-horror femminista”. E’ senz’altro vero che i posti di potere sono occupati esclusivamente da uomini, tutti rigorosamente maschi bianchi di mezza età, che si permettono di licenziare una donna di mezza età come loro, per assumerne una più giovane con cui far aumentare gli ascolti: l’essere giovane e belli vale solo per le donne nel mondo dello spettacolo (e non solo…), mentre gli uomini (al potere) non ne subiscono mai le conseguenze, potendo “invecchiare” senza problemi, che tanto il posto non glielo toglie nessuno.
Il corpo delle donne viene “venduto” da questi uomini come una qualsiasi merce di consumo nei loro programmi tv, in questo caso una merce che deve generare soprattutto piacere sessuale (al pubblico maschile che nella stragrande maggioranza dei casi guarda quegli spettacoli) ancor prima che dimostrare di avere talento, perché è questo che quegli uomini vogliono vedere.
Non a caso in The Substance si assiste ad un abuso del male gaze, ovvero alla raffigurazione del corpo femminile nel modo più sessualizzato e perverso possibile (lo si percepisce soprattutto nelle scene di ballo), che alla fine finisce per risultare piuttosto indigesto: considerato che la regista è una donna, è ovvio che tale effetto sia pressoché voluto e cercato, per demistificare e mettere in ridicolo quello stesso sguardo, creando così un effetto straniante, ma al tempo stesso politicamente lucido.
La società (piaccia o meno) è sicuramente patriarcale, ma per la regista anche le donne alla fine finiscono per essere complici del sistema: la stessa Elizabeth/Moore nonostante si renda conto degli effetti nefasti che la sostanza crea al suo corpo (l’invecchiamento precoce), ne continua, come già detto, ad abusarne, perché in fondo la “ritrovata gioventù” nel corpo di Sue/Qualley le piace, le ha fatto ritrovare il successo di un tempo, e ora non vuole tornare più indietro, perché non vorrebbe finire di nuovo nel dimenticatoio, dopo aver ritrovato le luci della ribalta.
La Elizabeth/Moore si percepisce ormai come “brutta”, rifiutando persino le avance di un suo amico di vecchia data, che è attratto da lei nonostante l’età, facendole anche i complimenti per essere “sempre bellissima”: ma ad Elizabeth/Moore questo non importa, perché ormai nel suo corpo “originale” non ci vuole più stare, si tratta malissimo (mangia continuamente e sta ore davanti alla tv), arrivando ad odiarsi con tutta sé stessa, e a voler desiderare di voler essere per sempre Sue/Qualley, cosa che però non è possibile, per via delle regole dell’esperimento.
La società dello spettacolo finisce per generare mostri da una parte e dall’altra, in questo caso letteralmente (SPOILER): la trasformazione/fusione dei corpi nel finale, con la “nascita” di un mostro che sta a metà strada tra le orride creature di “Society-The Horror” di Brian Yuzna e il “John Merrick” di lynchiana memoria, è una idea semplicemente geniale, nel creare un effetto quasi trash, in cui l’esibizione finale di Capodanno, il momento teoricamente più bello (e quindi libidinoso, per lo spettatore) dell’anno, si trasforma in un bagno di sangue, in cui il piacere (sessuale) viene disintegrato per sempre.
Una volta divenuta mostro, la donna (o quello che ne rimane in questo caso…) si “ribella” alla società dello spettacolo, di cui è stata complice per troppo tempo, andando in scena non soltanto per “auto-distruggere” definitivamente la sua immagine/icona, ma anche per sabotare tutto quel “circo mediatico” che sempre per troppo tempo l’ha sfruttata: una indimenticabile “morte in diretta”.
Il pregio più grande di The Substance comunque è di non essere un film “didascalico” o “a tesi”, ma di parlare in primis con le immagini, di essere capace di sorprendere, scioccare e lasciar ammaliato lo spettatore con la sola forza delle sue immagini (pochi i dialoghi presenti infatti), cosa non affatto scontata al giorno d’oggi, specie nell’horror odierno.
La regia di Coralie Fargeat è piena di virtuosismi, ma mai fine a sé stessi: a dominare sono soprattutto i primissimi piani, i dettagli ossessivi sugli oggetti (sul cibo e sugli aghi in special modo) e le inquadrature simmetriche (la perfezione geometrica di kubrickiana memoria), oltre che fish-eye e ralenty.
La fotografia accesa e sgargiante nei colori (che risalta ancor di più le scene più sanguinolente), e l’utilizzo delle musiche (in particolare della canzone-tormentone “Pump it Up“) offrono un contributo decisivo al risultato finale.
Malgrado le tante citazioni presenti nell’opera, tra i già menzionati Kubrick (impossibile non pensare a “Shining” nelle inquadrature dei corridoi), Lynch (“The Elephant Man“, 1980), e Brian Yuzna (“Society-The Horror“, 1989), si possono scorgere riferimenti anche ad opere come “La mosca” di David Cronenberg (1986), “La morte ti fa bella” di Robert Zemeckis (1992) e “Re-Animator” di Stuart Gordon (1985).
Ciononostante un altro grande pregio di The Substance è il non essere affatto un film che cerca a tutti i costi l’effetto “nostalgia”, anzi lavora quasi all’opposto, cercando di allontanarsene per brillare di luce propria: in questo senso il “lavoro” svolto su una grande icona di quei decenni come Demi Moore (che non a caso è ricorsa alla chirurgia plastica nel corso della sua vita), che infatti viene totalmente “demistificata” e “auto-dileggiata” è significativo.
Un’opera terrificante, intelligente e anche divertente (il ritmo è elevato e la durata non pesa praticamente mai): in definitiva, da vedere assolutamente, a patto che non siate agofobici o troppo sensibili di stomaco…